25) Lc 5, 33-39  24/05/2020

1. Il testo

              33Quelli dissero verso di lui: «I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno preghiere. Similmente anche quelli dei Farisei. I tuoi invece mangiano e bevono». 34Gesù disse verso di loro: «Forse potete far digiunare i figli del matrimonio in cui lo sposo è con loro? 35Verranno giorni, e quando sarà portato via da loro lo sposo, allora digiuneranno in quei giorni». 36Disse anche una parabola verso di loro: «Nessuno mette una toppa strappata da una veste nuova su una veste vecchia, sennò anche il nuovo si strappa e al vecchio non si accorda la toppa dal nuovo. 37 E nessuno getta vino nuovo in otri vecchi, sennò il vino – quello nuovo – rompe gli otri e viene versato e gli otri sono distrutti. 38Ma vino nuovo in otri nuovi va gettato. 39E nessuno, bevuto il vecchio vuole il nuovo. Dice infatti: “il vecchio è buono”».

2. Il messaggio

              Il brano è la continuazione del brano precedente e presenta delle difficoltà di accettazione della sequela di Gesù. Nel brano precedente i Farisei e gli scribi hanno già accusato i discepoli di aver mangiato e bevuto con i peccatori. In qualche modo, quella dei Farisei e degli scribi è una contestazione ai discepoli e alla loro sequela di Gesù, e non direttamente a Gesù.

              Qui essi intendono giudicare il comportamento dei discepoli e la loro sequela di Gesù rispetto alla questione del digiuno, uno degli aspetti connotanti della tradizione religiosa ebraica. Uno dei modi di esprimere la propria ‘religiosità’ e fedeltà nei confronti di Dio. I Farisei si rivolgono direttamente a Gesù e gli chiedono spiegazioni rispetto al loro modo di fare: 33Quelli dissero verso di lui: «I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno preghiere. Similmente anche quelli dei Farisei. I tuoi invece mangiano e bevono».

              La risposta di Gesù può essere intesa come comprensione del senso della sequela dei discepoli e dunque del nuov modo di comportarsi di questi ultimi. Per fare ciò si serve dell’immagine del matrimonio e di coloro che sono invitati al matrimonio, alla cui festa è presente lo sposo. Le parole di Gesù sono queste: 34Gesù disse verso di loro: «Forse potete far digiunare i figli della sala di nozze in cui lo sposo è con loro? 35Verranno giorni, e quando sarà portato via da loro lo sposo, allora digiuneranno in quei giorni». Egli risponde ai Farisei che non è possibile che durante la presenza dello sposo gli invitati alle nozze possano digiunare e che, invece, verranno dei giorni in cui verrà portato via lo sposo e che a questi giorni seguirà il digiuno, che avrà dunque un motivo per essere praticato.

              Con questa affermazione, Gesù intende far comprendere che il digiuno non dev’essere più una pratica che si fa rispetto alle tempistiche giudaiche, bensì una pratica connotata sulla base dalla presenza o dell’assenza dello sposo, e quindi di Gesù. A partire da questo momento, il tempo del digiuno è connotato dallo sposo, e quindi a seconda della Sua presenza o assenza. Gesù detta le tempistiche secondo cui deve avvenire il digiuno, cambiando il senso di ciò che rappresentava il digiuno nella tradizione ebraica. Inoltre, l’assenza di Gesù – il suo essere sottratto – appare come un qualcosa che è contro la volontà degli invitati, e quindi dei discepoli. Sembrerebbe questo preannunciare ciò che avverrà successivamente, un riferimento alla sorte di Gesù, e dunque dei discepoli.

              L’immagine del matrimonio per connettere il rapporto di Cristo con la sua Chiesa verrà utilizzata anche da San Paolo nella Lettera degli Efesini (1, 22-23), in cui l’unità tra Cristo e Chiesa si configura come una sola carne. Sembrerebbe dunque connotare il rapporto nei termini di unione profonda.

              Nella seconda parte del brano invece, Gesù redarguisce sul giudicare ciò che è nuovo sulla base di ciò che è vecchio. Il concetto viene espresso attraverso una parabola: 36Disse anche una parabola verso di loro: «Nessuno mette una toppa strappata da una veste nuova su una veste vecchia, sennò anche il nuovo si strappa e al vecchio non si accorda la toppa dal nuovo. Gesù ci fa presente che nessuno rovinerebbe un vestito nuovo con l’aggiunta di una toppa vecchia. Questo indica il fatto che con le nostre “vecchie” categorie non possiamo giudicare il nuovo perché le cose non possono essere tra di loro commensurabili… i due non si accordano tra loro.

              Più avanti nel brano, Gesù ci spiega come a sua volta, nemmeno il nuovo potrebbe essere gettato nelle categorie vecchie, in quanto le categorie vecchie non riuscirebbero a contenere il nuovo. Quest’ultimo concetto viene espresso da Gesù tramite un’altra parabola: 37 E nessuno getta vino nuovo in otri vecchi, sennò il vino – quello nuovo – rompe gli otri e viene versato e gli otri sono distrutti. 38Ma vino nuovo in otri nuovi va gettato. Per comprendere più facilmente questa parabola possiamo dire che gli otri rappresentano la mentalità e i comportamenti e il vino la Parola di Dio, che è nuova rispetto alle vecchie categorie interpretative dei Farisei. Gli otri vecchi non hanno la capacità di contenere il vino nuovo, si romperebbero. L’otre – di cuoio – se vecchio si sclerotizza e dunque non può sopportare la dinamicità del vino nuovo, che dunque lo rompe. Il danno è doppio: la perdita dell’uno e dell’altro. Ancora una frase per comunicare l’impossibilità di mettere insieme i due modi di comprendere la rivelazione di Dio.

              L’ultima frase che Gesù dice: 39E nessuno, bevuto il vecchio vuole il nuovo. Dice infatti: “il vecchio è buono”». È invece una valutazione sulle persone. Egli ci vuole far capire che coloro i quali ragionano secondo le loro strutture di pensiero non sono aperti alla novità del vangelo. Costoro non sono desiderosi di accogliere il vino nuovo, perché già riempiti dei loro ragionamenti. Gesù ci sta dicendo che i Farisei non hanno neanche la disposizione d’animo per capire ciò che Gesù vuole loro portare di nuovo perché sono ancorati alle loro vecchie categorie.

              In sintesi, in questo brano, Gesù in un primo momento intende riconvertire il valore del digiuno in funzione dalla Sua presenza perché è Cristo a dover essere messo al centro. L’intento di Gesù, quindi, non è quello di demonizzare le pratiche religiose ma di introdurre un nuovo modo di comprendere la legge religiosa sulla base della Sua presenza. In un secondo momento Egli fa una valutazione sulla compatibilità tra le pratiche vecchie e le pratiche nuove. Queste infatti, non sono tra loro compatibili, anzi, insieme rischiano di danneggiarsi le une con le altre.

              Per l’attualizzazione questa Parola due spunti potrebero aiutarci. Il primo riguarda la chiusura delle pratiche all’interno della Chiesa, che talvolta, pur di rimanere ancorata al vecchio, non legge la novità del Vangelo alla luce dei tempi e dei linguaggi che si vanno via via modificando.

              Un secondo approccio all’attualizzazione riguarda un livello individuale, riguardo all’accoglienza del Vangelo. Questa accoglienza richiede a ciascuno di noi una messa in discussione delle nostre certezze, finanche delle nostre certezze che riguardano il nostro rapporto con Dio. Paradossalmente, l’ascolto più profondo del Vangelo si ottiene quando noi ci spogliamo dalle nostre costruzioni mentali per ricevere la freschezza, la novità, e anche la forza di cui è capace il vino nuovo, la Parola di Cristo. Dovremmo avere, cioè, la capacità di cogliere la forza di questo vino nuovo, capace di eliminare le nostre strutture preconfezionate. Le nostre congetture non sono quasi mai cose che afferiscono a Dio, ma piuttosto rappresentano le nostre difficoltà, le nostre fatiche, i nostri problemi, che ci mettono in difficoltà nell’ascolto autentico.

              Perciò dobbiamo avere la forza di farci lasciare plasmare da questo vino, che è anche vino buono. Chi non riesce a farsi plasmare dalla Parola di Dio, si allontana progressivamente da questa perché non riesce a conciliarla con ciò che ha dentro. La reazione più semplice che quindi si può avere è quella di allontanare il Vangelo dalla propria vita, continuando a rimanere nel vecchio perché inconciliabile con la Parola di Cristo.

              La capacità di leggere il Vangelo dipende sempre di più dalla nostra elasticità, ma anche dal desiderio che abbiamo del Vangelo: in questo brano, infatti, abbiamo visto come nessuno di coloro che bevono il vino vecchio desidera il vino nuovo. Dobbiamo desiderare profondamente di lasciarci plasmare dal Vangelo vivente, dalla bellezza della Parola di Gesù nella nostra vita, lasciando alle spalle i nostri pensieri e le nostre vecchie categorie.

3.Le risonanze personali

v. 34 Siamo tutti “figli di un matrimonio”, ma è bellissimo che Gesù abbia indicato con questo nome i discepoli. La cosa più bella, se ci penso, è essere figli di un matrimonio d’amore. Dunque, la sequela è intesa come una figliolanza, vivere come figli di Dio, amati dal Padre che si prende cura di noi, e come figli di un’alleanza matrimoniale. Per camminare accanto a noi,, Dio sceglie di amarci come un Padre e di stare accanto a noi come uno sposo, secondo le dorme d’Amore più belle.