2) Lc 1,18-25  – 25/09/19

1.Il testo

18E disse Zaccaria all’angelo: «Come conoscerò questo? Io infatti sono vecchio e mia moglie è avanzata nei suoi giorni». 19E rispose l’angelo: «Io sono Gabriele, che sta davanti a Dio e sono stato mandato a parlarti e annunciarti queste cose. 20Ed ecco sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui non sarà avvenuto questo, perché non hai creduto alle mie parole, che si compiranno al loro tempo».

21E stava il popolo aspettando Zaccaria e si meravigliava del suo ritardare nel tempio. 22Uscito però non poteva parlare loro, e compresero che aveva avuto una visione nel tempio. E stava facendo loro segni e restava senza parole. 23E avvenne che come furono compiuti i giorni del suo servizio, tornò a casa sua. 24Dopo questi giorni Elisabetta, sua moglie, concepì e si teneva nascosta per cinque mesi dicendo: «Così ha fatto per me il Signore nei giorni in cui ha volto lo sguardo per togliere il mio disonore tra gli uomini».

2. Il messaggio

                18E disse Zaccaria all’angelo: «Come conoscerò questo? Io infatti sono vecchio e mia moglie è avanzata nei suoi giorni». E’ una frase un po’ diversa da quella che poi dirà Maria (Lc 1, 34: «come avverrà questo?»). Il verbo ‘conoscere’ in ebraico ha un significato profondo che viene infatti applicato anche al rapporto sessuale, infatti nel brano successivo Maria dirà «non conosco uomo» (Lc 1, 34). Il verbo ‘conoscere’ in Zaccaria rimanda ad un conoscere esperienziale che chiede – pretende? – un’esperienza profonda che precede la fede. Come si può chiedere di fare esperienza di qualcosa prima di credere? La fede non segue ma anticipa e precede l’esperienza, non si può chiedere una riprova prima di credere. Con Gesù funziona così: prima ci si fida e poi di conseguenza arriva il resto. Il problema di Zaccaria è che non ha dato credito alle parole dell’angelo perché le ritiene inverosimili, crede che sia umanamente impossibile che possa succedere quello che gli viene riferito. La nostra esperienza invece è la fede! Noi sperimenteremo nella misura in cui ci crederemo.

                19E rispose l’angelo: «Io sono Gabriele, che sta davanti a Dio e sono stato mandato a parlarti e annunciarti queste cose. 20Ed ecco sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui non sarà avvenuto questo, perché non hai creduto alle mie parole, che si compiranno al loro tempo». Quello che accade dopo non è comprensibile semplicemente come punizione, anche se potrebbe sembrare tale. Il termine ‘davanti a Dio’ riferito a Gabriele ricorre anche per Zaccaria ed Elisabetta (Lc 1, 6 «giusti davanti a Dio»). Esiste una relazione tra le parole che pronuncia l’angelo e le parole che Zaccaria può annunciare: come si fa ad annunciare la fede se prima non la si accoglie? Se alle parole che vengono da Dio noi non diamo credito come possiamo poi riferirle – farci servitori – ad un altro? Non ne saremo capaci. L’angelo, dopo che Zaccaria risponde in quel modo, parla ancora e questa seconda volta corregge la prospettiva dell’uomo, infatti dopo questo secondo intervento Zaccaria crede. L’angelo interviene in una maniera molto particolare rivelando il suo nome, la qual cosa è un atto molto importante («Io sono Gabriele, che sta davanti a Dio e sono stato mandato a parlarti e annunciarti queste cose»). Poiché Zaccaria non ha creduto, egli rimarrà muto fino al momento in cui queste parole si realizzeranno, e si realizzeranno nel tempo che Dio ha stabilito. L’intervento dell’angelo produce comunque un effetto in Zaccaria: egli torna a casa e concepisce con la moglie. Zaccaria, dopo la visione, in qualche modo esce dal tempio trasformato: tornerà a casa e in qualche modo dovrà comunicare tutto ciò alla moglie ed attuarlo.

                Il messaggio che gli viene dato (che non riguarda solamente il dono di un figlio, ma anche la preparazione del rapporto tra Dio e il popolo) non è tuttavia un annuncio solo per sé ma riguarda tutto il popolo. 21E stava il popolo aspettando Zaccaria e si meravigliava del suo ritardare nel tempio. 22Uscito però non poteva parlare loro, e compresero che aveva avuto una visione nel tempio. E stava facendo loro segni e restava senza parole. La parola rivolta a Zaccaria è una parola che dovrebbe essere destinata a tutto il popolo. La riprova che sia realmente così è data dal fatto che Zaccaria esce dal tempio e non può parlare, comunica con i gesti e il popolo non lo comprende, l’unica cosa che comprende è che abbia avuto una visione. Il messaggio non è arrivato al popolo e Zaccaria non ha svolto la sua funzione di annunciatore, non perché sia stato punito, ma perché non ha creduto a quello che il Signore gli ha detto mediante l’angelo. Più che dargli una punizione, il Signore gli sta insegnando come funziona la trasmissione della Parola di Dio. Possiamo applicare questa cosa a noi: se ascoltiamo la Parola ma poi non la accogliamo, possiamo poi esserne annunciatori, ripetitori? No, saremo muti rispetto alla Parola perché non si realizza in primis per noi, essendo troppo lontana dalla nostra vita, dalle nostre esigenze e possibilità. Come si può trasmettere la Parola ad un altro se non Le si dà credito in prima persona?

                Questo intervento nei confronti di Zaccaria è una mera punizione? No! è soprattutto un insegnamento che riguarda la fede: non si può comunicare ciò che non si accoglie. Simultaneamente è uno scossone nei suoi confronti poiché non crede. Zaccaria è legittimato a non credere? Qualsiasi prova Dio ci dia è sopportabile dalle nostre forze, mai al di sopra, altrimenti il Signore sarebbe ingiusto. Tutto quello che ci accade avviene perché noi possiamo sopportarlo. Quando parliamo della rivelazione la cosa funziona in maniera simile, nel momento in cui Dio ci parla noi abbiamo la capacità di accogliere la Sua Parola, altrimenti ci parlerebbe a vuoto. C’è sempre in ballo la nostra libertà, di fronte alla Parola possiamo ascoltarLa e accoglierLa oppure respingerLa. Zaccaria ed Elisabetta sono giusti davanti a Dio, cioè preparati, ma arrivato il momento della prova viene chiesta loro una fede che essi non riescono ad esprimere. Dio vuole andare oltre i nostri limiti umani, può stravolgere la nostra vita al di là di quelle che sono le nostre possibilità. Zaccaria non ci crede, quando Dio viene a comunicargli che avrà un figlio lui manca di fede. Dio interviene nella storia superando anche i nostri ostacoli umani. In un secondo momento, tuttavia, Zaccaria fa un atto di fede, l’intervento dell’angelo ha comunque un effetto determinante su di lui.

                23E avvenne che come furono compiuti i giorni del suo servizio, tornò a casa sua. 24Dopo questi giorni Elisabetta, sua moglie, concepì e si teneva nascosta per cinque mesi dicendo: «Così ha fatto per me il Signore nei giorni in cui ha volto lo sguardo per togliere il mio disonore tra gli uomini». Elisabetta è contentissima perché il Signore le ha tolto la vergogna tra gli uomini, ma si tiene per sé la cosa per cinque mesi. E’ paradossale: se si tiene nascosta come fa a dire che le è stato tolto il disonore tra gli uomini, visto che nessuno sa della sua gravidanza? L’affermazione di Elisabetta è in sé contraddittoria per certi aspetti. In realtà, ad Elisabetta basta il fatto che Dio abbia volto lo sguardo su di lei e non le interessa che gli altri in questo momento possano o non possano dire qualcosa, per lei questa vergogna tra gli uomini è eliminata perché ha la certezza che Dio ha volto lo sguardo su di lei. La sua difficoltà non è tanto il giudizio degli uomini quanto piuttosto l’idea che quello che vive (il non avere figli) sia una punizione divina (per dirla con Santa Teresa d’Avila: «Solo Dio basta»). Luca, tra l’altro, ci ha già detto che non si tratta di una punizione divina in quanto i due coniugi sono giusti ed irreprensibili davanti a Dio, seguono i comandamenti alla lettera. Quello di Elisabetta è uno dei modi di pensare tipici dell’epoca. E’ molto interessante vedere come Elisabetta viva la sua dimensione d’interiorità, di sterilità o maternità in rapporto con Dio. Bastandole solo Dio le basta solo quello che Lui pensa, basta sapere che il Suo sguardo è su di lei.

                Concludendo, questo brano ha una caratteristica: ricorre molto una dimensione temporale diversificata. Notiamo che il tempo, così come è vissuto dai personaggi che sono coinvolti, è qualitativamente dipendente dalla fede. Zaccaria dice: «io infatti sono vecchio e mia moglie è avanzata nei suoi giorni», nelle sue parole la temporalità significa impossibilità di avere un figlio, una condanna. Dopo esser entrato nel tempio ed aver avuto la visione Zaccaria vive il periodo in cui non può più parlare come un tempo di impossibilità e ricordo della sua mancanza di fede (certamente un tempo di purificazione). Per Elisabetta i giorni vissuti sono gioiosi perché in quel momento della sua vita ha fatto esperienza che il Signore è venuto e l’ha liberata, è tanto contenta che non avverte nemmeno il bisogno di andare a dirlo agli altri. Il popolo  invece come vive il tempo? Aspetta, non capisce. Lo stesso intervallo di tempo è vissuto in maniera differente dai vari personaggi del brano a seconda della loro fede. Qui emerge come la fede cambi il nostro modo di vivere la stessa realtà, lo stesso tempo, non è una dimensione aleatoria. Il nostro modo di vivere il tempo e ciò che ci viene dato nel presente cambia a seconda della nostra risposta di fede. Per alcuni questo dipende dalla loro volontà, in Zaccaria ed Elisabetta abbiamo due risposte di fede e sentimenti differenti, il fatto che popolo aspetti invece è molto indicativo perché avrebbe dovuto ricevere l’annuncio da parte di Zaccaria, Gabriele gli parla per tutto il popolo, però Zaccaria non esce annunciando che arriverà il precursore del Messia, il popolo non riceve alcun annunzio e non ne ha colpa. Qui la responsabilità è di Zaccaria: il Signore interviene miracolosamente nella storia, però il miracolo del Signore non è sufficiente perché vuole anche la collaborazione umana, ci vuole il “sì” necessario per accogliere il miracolo che poi è di giovamento agli altri. Il “sì” si traduce nella nascita di Giovanni Battista che poi va dal popolo e lo prepara all’avvento di Gesù. La nostra risposta personale dunque è sempre collegata a quelli che dovrebbero usufruirne, quindi ci vuole l’intervento di Dio nella storia e anche, simultaneamente, la risposta dell’uomo. Alla base del principio dell’incarnazione c’è proprio il bisogno di Dio della nostra collaborazione e del nostro “sì”. Dio ha permesso che tutto rimanesse appeso ad un “sì” di una creatura, di Maria. Ricordiamoci che non possiamo pretendere un intervento meramente miracolistico da parte di Dio nella storia, dobbiamo metterci del nostro, a Dio non piace cambiare con la bacchetta magica la realtà in cui viviamo, ci vuole il nostro impegno pienamente collegato anche al benessere dei fratelli. Le responsabilità che il Signore dona a ciascuno sono diversificate ma comunque coinvolgono delle persone che sono accanto a noi. La nostra testimonianza davanti ai nostri coetanei e conoscenti è determinante. Se noi che siamo cristiani non ci crediamo per primi, come potrebbe crederci chi ci è affidato?

3.Le risonanze personali

vv. 18-24 La mia riflessione mi ha portato a vedere come Zaccaria e sua moglie Elisabetta si pongono dinanzi alla scelta di Dio su di loro. Zaccaria dimostra di non aver creduto al cento per cento a ciò che Dio può compiere anche nella situazione più difficile o quasi impossibile. Infatti Dio gli toglie la parola, lo strumento più importante per lui. Non può più divulgare la parola di Dio, in particolar modo nel suo caso dato che parla alle folle fuori dal tempio. C’è una correlazione tra il non credere e il non parlare di Dio. Invece Elisabetta sembra quasi chiudersi in sé, per custodire ciò che Dio le ha donato. Il dono di Dio la fa sentire libera, perché esce da quello stato di vergogna per la sua sterilità. Elisabetta mi insegna che la parola di Dio rispetto al giudizio della gente rende liberi. Sono rimasta con una domanda, mi sento più Zaccaria o Elisabetta?

vv. 18-24 Nel brano troviamo Zaccaria incredulo di tutto quello che sta per accadere. Un po’ ci raffiguriamo in lui perché vedersi realizzare tutto quello per cui si è pregato tanto, inizialmente ci turba e non crediamo. La domanda «Come conoscerò questo?» è lecita ma non è da un uomo giusto, Zaccaria si trova di fronte un angelo mandato da Dio e non sa cosa fare e non riesce ad avere fiducia e fede. Quante volte ci siamo trovati in queste situazioni, quando Dio ci parla attraverso la Parola ma non riusciamo ad accoglierla? Il brano ci invita a fare esperienza ma soprattutto ad aver fiducia, altrimenti diventeremo muti come Zaccaria. Se rimango in silenzio, la mia testimonianza può essere d’aiuto per me ma non per gli altri e quindi sarebbe egoismo. Ma accogliere la Parola ed annunciarla può accrescere la comunità e vivere la Parola concretamente comporta avere una fede viva.