86) Lc 19, 11-27 – 18/05/2022

  1. Il testo

       11Avendo essi ascoltato queste cose, stando [Gesù] disse una parabola per l’essere egli vicino a Gerusalemme ed ad essi sembrava che immediatamente dovesse manifestarsi il Regno di Dio. 12Disse dunque: «Un uomo di buona nascita si recò in una terra lontana per ricevere per lui il Regno e tornare. 13Avendo chiamato dieci suoi servi diede loro dieci mine e disse verso di loro: “Datevi da fare nel [tempo] in cui venga”. 14I suoi cittadini lo odiavano e mandarono un’ambasceria a dire: “Non vogliamo che costui regni su di noi”.

       15E avvenne nel tornare questi dopo aver ricevuto il Regno e disse che fossero chiamati a lui quei servi ai quali aveva dato il denaro, affinché sapesse come si fossero dati da fare. 16Venne il primo dicendo: “Signore, la tua mina ha dato dieci mine”. 17E disse a lui: “Bene, servo buono, poiché sei stato fedele nel pochissimo, sii avendo autorità su dieci città”. 18E venne il secondo dicendo: “La tua mina Signore ha prodotto cinque mine”. 19Disse anche a lui: ”Anche tu sii [a capo] su cinque città”.          

       20E l’altro venne dicendo: “Signore, ecco la tua mina che ho riposto nel sudario. 21Ho avuto, infatti, paura di te che sei uomo austero, prendi ciò che non hai posto e raccogli ciò che non hai seminato”. 22Gli disse: ”Dalla tua bocca ti giudico, servo malvagio. Sai che io sono uomo austero, che prendo ciò che non ho posto e mieto ciò che non ho seminato, 23 e perché non hai consegnato il mio denaro a una banca? E io, venendo, con interesse lo avrei ritirato. 24E ai presenti disse: “Toglietegli la mina e datela a chi ne ha dieci”. 25E dissero a lui: “Signore, ha dieci mine”. 26Dico a voi: “A chi ha darà dato, a chi non ha anche ciò che ha sarà tolto”. 27E i miei nemici, quelli che non volevano che io regnassi su di loro, conduceteli qui e trucidateli davanti a me”.

  • Il messaggio

Tutto comincia dopo che costoro hanno ascoltato il terzo annunzio della Passione; ma soprattutto dopo la storia del cieco e di Zaccheo, entrambi segni di conversione importanti che sembrerebbero dare alla “carovana”, che sale verso Gerusalemme, particolare entusiasmo; entusiasmo che, letteralmente, è manifestato dalla seguente espressione: «11…sembrava che immediatamente dovesse manifestarsi il Regno di Dio…».

Il verbo «manifestare» ha in greco una particolare particella che esprime il senso della «manifestazione dall’alto» (anà). Sembrerebbe quasi che quelli che ascoltano, che seguono Gesù, assistono a questi prodigi aspettandosi qualcosa che potrà accadere a Gerusalemme, come segno dell’espressione della volontà di Dio. L’idea che accompagna la carovana è che la salita a Gerusalemme sia una salita gloriosa, che manifesta il Regno. Questa è l’espressione di quanti seguono Gesù, che gli sono attorno. Di fronte a questa percezione (che Gesù vada a Gerusalemme da Re, e che questa regalità venga manifestata dall’Alto), Gesù racconta la seguente parabola per spiegare il Regno.

12 Disse dunque: «Un uomo di buona nascita (cioè un nobile) si recò in una terra lontana per ricevere per lui il Regno e tornare .Qui, la ricezione del regno sembrerebbe rappresentare la ricezione di un riconoscimento, il titolo di Re, per poi tornare indietro. Di fronte a questa situazione, i comportamenti descrivono le relazioni tra i personaggi in gioco: dieci servi e i cittadini sui quali Egli deve regnare; con la precisazione che i cittadini non hanno nessuna intenzione che Costui debba regnare. Quindi i cittadini Gli sono ostili. 

14 I suoi cittadini lo odiavano e mandarono un’ambasceria a dire: “Non vogliamo che costui regni su di noi”. Notiamo una duplicità: cittadini e servi. Ai servi Lui chiede di darsi da fare. Il verbo utilizzato è pragmateuo (da cui l’italiano pragmatico), sta ad indicare un tipo che si dà da fare, che si industria: Gesù chiede ai suoi servi di essere pragmatici. 

13Avendo chiamato dieci suoi servi diede loro dieci mine e disse verso di loro: “Datevi da fare nel [tempo] in cui venga”. Egli dà a tutti una moneta media, una mina, che è qualcosa di diverso rispetto al talento che troviamo in Matteo 25, 14-30. Infatti, non dobbiamo confondere questa parabola con quella di Matteo, in cui viene dato a ciascuno un talento secondo le sue capacità. In questa parabola infatti viene data a ciascuno la stessa quantità e bisogna che tutti la facciano fruttare, lavorando. Ciò significa che il risultato è frutto del proprio lavoro: chi più lavora più fa fruttare, così come chi meno lavora meno fa fruttare. E’ tutta una questione di fatica.

Di fronte a quest’Uomo, quindi, abbiamo due insiemi di persone: chi non vuole che Questi regni; quelli che sono i Suoi servi. Occorre precisare che il Regno di cui parla Gesù non arriva subito, il Regno è annunciato. Infatti, il Regno arriva quando quest’Uomo nobile va a prendersi il titolo e torna indietro. Il che significa che il tempo è scandito dalla venuta, dal ritorno di quest’uomo. Dopo di che il Regno si manifesta. Di fronte a questo intervallo di tempo ciascuno deve scegliere come relazionarsi nei confronti di quest’uomo.

Infatti, il Regno ha a che fare con quest’uomo. Questi torna e fa chiamare i servi ai quali Egli ha dato il denaro, per sapere come nel frattempo si sono dati da fare. 15 E avvenne nel tornare questi dopo aver ricevuto il Regno e disse che fossero chiamati a lui quei servi ai quali aveva dato il denaro, affinché sapesse come si fossero dati da fare. 16 Venne il primo dicendo: “Signore, la tua mina ha dato dieci mine”. 17E disse a lui: “Bene, servo buono, poiché sei stato fedele nel pochissimo, sii avendo autorità su dieci città”. 18 E venne il secondo dicendo: “La tua mina Signore ha prodotto cinque mine”. 19 Disse anche a lui: ”Anche tu sii [a capo] su cinque città”.L’espressione «fedele nel pochissimo» assume una grande importanza considerando che la mina è un dono piccolo. Il Re quindi assegna autorità su dieci città. Il che sembra spropositato come valore, non equivalente; ma ci fa capire il grado di fedeltà che il Signore vuole da noi, che ha a che fare con le cose piccole della giornata, con i risparmi, le mine, cioè i piccoli conti. Al secondo, lo stesso, il Re attribuisce l’autorità su cinque città. L’essere nel Regno, quindi, risulta proporzionale all’impegno che ciascun servo buono si è sobbarcato per servire questa dimensione del Regno. Costoro, servi, hanno servito per poi ritrovarsi a capo di dieci e cinque città ciascuno.

20 E l’altro venne dicendo: “Signore, ecco la tua mina che ho riposto nel sudario. Letteralmente, il sudario sta ad indicare il telo che avvolge Gesù da morto. Quindi, questo servo ha seppellito la mina, vivendo da morto in relazione al Regno, come se non avesse mai avuto la mina, per paura del padrone, forse per paura di perderla, senza considerare che la mina non è sua, ma del Signore. Il Signore, infatti, dona, offre la mina, da considerarsi un minimo di capitale, qualcosa da spendere, e ciascuno deve darsi da fare perché questa aumenti. Ma se non ci si dà da fare, questa viene seppellita e, con la stessa mina, tutte le possibilità che Gesù ci dà. La questione verte sul modo di relazionarsi al Regno: mentre qualcuno è al servizio, altri sono in opposizione, e al centro c’è questo “servo” che non fa nulla restituendo la mina al Signore. Volendo definire il comportamento di quest’ultimo, potremmo definirlo apatico, dove la paura resta invece il motivo. La paura è rintracciabile nelle seguenti parole: 21 Ho avuto, infatti, paura di te che sei uomo austero, prendi ciò che non hai posto e raccogli ciò che non hai seminato. E’ chiaro come il suo rapporto con il Signore sia di “schiavitù” e non di libertà. E’ un rapporto di timore e paura. Si ricordi che Gesù dice: «non vi ho chiamato servi, vi ho chiamato Amici» (Gv 15, 9). La relazione che Gesù chiede a ciascuno è di libertà. Quest’uomo invece, per un atteggiamento di timore e paura, non solo non si dà da fare personalmente, ma non consegna neppure ad una banca la mina.. 

23 e perché non hai consegnato il mio denaro a una banca? E io, venendo, con interesse lo avrei ritirato. Quest’uomo non fa nemmeno il minimo indispensabile, non mostrandosi neppure intraprendente, preferisce piuttosto nascondere la mina. È un atteggiamento di chi minimamente pensa al vantaggio del padrone. Questo spiega che le nostre abilità, intelligenze, tutto ciò che può far fruttare il Regno non è nostro, e ci verrà chiesto conto di questo, perché non ci è stato dato in funzione di noi, ma del Regno e del Signore che resta il padrone di queste cose.

Quindi, pensare di lavorare per sé, non pensando all’esercizio della vita in funzione del Regno, sottraendosi rispetto a questo, riconduce all’epilogo che questo talento e questa mina verranno sottratti, per essere addirittura dati a chi ha dieci mine. 24E ai presenti disse: “Toglietegli la mina e datela a chi ne ha dieci”. 25 E dissero a lui: “Signore, ha dieci mine” In questo caso conta la generosità, conta l’impegno, così come spiegato dal verbo-chiave pragmateuo.

 In ultimo, quanto a coloro, ostili, che non volevano che il Re regnasse : 27E i miei nemici, quelli che non volevano che io regnassi su di loro, conduceteli qui e trucidateli davanti a me Si tratta, invero, di una espressione molto forte che rende ed esprime una autorità forte ed incontestabile, tanto da permettersi di compiere un’operazione di potenza. Non c’è nessuna possibilità di opporsi all’instaurazione di questo Regno per l’autorità assoluta che ha questo Re.

Volgendo ora al significato della parabola, Gesù la racconta per spiegare l’incipit, in cui si parla di venuta del Regno. Ma prima di viverlo, ciascuno deve scegliere se mettersi al Suo servizio, oppure se opporsi. C’è un tempo per operare una scelta e, soprattutto, accettare nel tempo intermedio, nel frattempo – mentre si aspetta che torni il Signore – l’autorità dell’uomo di “buona nascita”, dell’uomo nobile. Perché è Questi a conferire a ciascuno l’autorità sul Regno, nella misura in cui c’è l’impegno.

Qual è, dunque, il modo con il quale le persone coinvolte possono dimostrare la loro fedeltà al Regno? La risposta all’adesione al Regno – che non avviene nell’immediatezza della partenza di Gesù, ma frattanto che Gesù va e ritorna – deve avvenire in questo intervallo di tempo, nel quale decidersi ed operare la scelta secondo il verbo pragmateuo, inteso, come visto, nel senso di «darsi da fare» rispetto al Re. In altre parole, l’opposto di “impegno” è “disimpegno”, tipico del servo nullafacente. L’obiettivo, e la scelta spiegata da Gesù, è l’operosità nel servizio, il volersi dar da fare; non contando il risultato in sé.

E’ possibile scegliere identificarsi con gli ostili oppure con i servi, ed in questi fra i laboriosi piuttosto che tra i nullafacenti (che solo nominalmente sono servi, ma sostanzialmente nullafacenti). Quanto a questi ultimi, il ritorno del Signore mette in luce che non sono mai stati servi. Una possibile analogia è rintracciabile nella parabola della porta stretta (Lc 13, 24-29), nella quale il Signore non riconosce quanti dicono di aver mangiato alla Sua mensa, di essere stati nella Sua casa, di aver predicato nelle Sue piazze: «Io non vi conosco, allontanatevi operatori di iniquità!».Anche qui abbiamo un esempio di qualcuno che è nominalmente è servo di Gesù, ma in realtà non lo è.

Quindi, il ritorno del Signore nobile produce all’interno della società una geografia chiara: nemici, servi e falsi servi. Questo è quello che emerge, appunto, al ritorno del Signore.

Il motivo per il quale il servo nullafacente non ha impiegato e fatto fruttare la minaè il timore dell’uomo di vedersi sottrarre dal Signore i frutti del proprio lavoro, dopo aver ricevuto la mina ed essersi impegnato ed adoperato per raggiungere un risultato. Può darsi che egli abbia timore di lavorare per il Signore? Ciò svela la malvagità dello stesso servo, che non può dirsi al contrario prudente. Si disinteressa totalmente del Padrone, e quindi non è al servizio del Regno, non investendo le sue energie, poiché il suo interesse non è affatto riposto nel servizio del Regno. Addirittura, alla fine, quella mina non fatta fruttare gli viene tolta in quanto non sua, ma del Signore.

  • Alcune domande per riflettere
  • [La mia fede] Ascoltando le parole di Gesù posso farmi un’idea di cosa egli intenda per Regno di Dio. Che idea mi sono fatto del Regno che egli predica? Riesco a vederlo presente sulla terra? Che attinenza ha questo Regno con il cielo e che relazione con la sofferenza?
  • [Gli altri] L’attesa del ritorno del Signore è un tempo che mostra sempre più chiaramente la distinzione tra i servi fedeli, quelli malvagi e i nemici del Signore. Quanto questo modo di cogliere le relazioni entra nel mio modo di relazionarmi ai fratelli? Quali categorie uso per discernere le mie relazioni?
  • [La prassi] La parabola delle mine insegna che i doni che il Signore ci fa – tutto ciò che siamo – non sono per il nostro profitto, ma da usare per il suo interesse. Quanto capisco – e uso – le mie capacità per il Regno di Dio (o meglio per ciò che ho compreso essere il regno di Dio)? Quanto li uso per me? Ho mai pensato di volerli rendere e che non mi appartengono veramente?