49) Lc 10, 13-16 – 24/03/2021

  1. Il testo

13Guai a te, Corazin, guai a Te Betsaida: poiché se in Tiro e Sidone fossero avvenuti i miracoli che sono avvenuti in voi, da tempo si sarebbero convertiti seduti in sacco e cenere. 14Perciò Tiro e Sidone saranno più tollerate nel giudizio che voi. 15E tu Cafarnao, forse che sarai innalzata fino al cielo? Fino agli inferi sarai gettata! 16Chi ascolta voi ascolta me, e chi rigetta voi rigetta me. Chi rigetta me, rigetta chi mi ha mandato.

  • Il messaggio

La prima frase è in continuità con il brano scorso (Lc10,8-11: 8E nella città nella quale doveste entrare e vi accolgono, mangiate ciò che vi viene posto innanzi. 9E curate quelli che in essa sono malati e dite loro: “è vicino a voi il regno di Dio”. 10Nella città in cui doveste entrare e non vi accolgono, usciti nelle loro piazze dite: “11Anche la polvere attaccata a noi dalla vostra città ai piedi scuotiamo [contro] di voi. Tuttavia sappiate questo: è vicino il Regno di Dio”).

13Guai a te, Corazin, guai a Te Betsaida. L’espressione è legata all’eventualità che le città non accolgano gli inviati di Gesù. Il termine “guai” è presente anche in Marco nei capitoli 13 e 14 «guai a quell’uomo meglio che non fosse mai nato», in riferimento a Giuda, e «guai alle donne che allatteranno in quel periodo». Esso può essere compreso sia come una forma di maledizione, ma non lo è, che come forma di commiserazione. Essa vuole sottolineare la responsabilità che deriva nell’aver partecipato ai miracoli che vedono la potenza di Dio. Questa forza che proviene da Dio, esprime un’azione di Dio nella storia. L’avanzamento del regno di Dio è la parola di Dio che viene accolta, gli esorcismi e le persone che vengono guarite, Dio agisce nella storia. Tuttavia, perché quest’azione si verifichi è necessario che la parola venga portata agli uomini per poter trasformare e agire. Betsaida e Corazin sono probabilmente le città dove Gesù ha trascorso più tempo e probabilmente dove Dio ha agito maggiormente.

La manifestazione dell’azione di Dio, è un evento che chiede conversione e penitenza, e l’Evangelista ne riporta un esempio: «poiché se in Tiro e Sidone fossero avvenuti i miracoli che sono avvenuti in voi, da tempo si sarebbero convertiti seduti in sacco e cenere». La conversione è il cambiamento del modo di pensare e quindi di agire, riconoscimento e ammissione pubblica del proprio errore. È l’espressione non di un dovere morale, ma frutto di qualcosa che accade dentro di noi, poiché Dio ci tocca nella nostra intimità e facciamo penitenza. La conversione e la penitenza sono frutto di qualcosa che è accaduto nel nostro cuore, c’è la comprensione e il movimento.

La domanda del versetto 13 ci fa riflettere e porre alcune questioni: è possibile non essere toccati dall’azione di Dio? non essere convertiti? Vogliamo Dio vicino o lo vogliamo tenere a distanza controllando la sua azione dentro di noi?

Il primo elemento è la domanda sul perché Corazin e Betsaida non si sono lasciate toccare e il secondo elemento è la constatazione che Tiro e Sidone sono certo due città pagane, ma saranno più tollerate in giudizio perché non hanno ricevuto gli stesi doni delle altre città e quindi sono meno responsabili. La domanda di fondo che permea le parole di Gesù è: “perché non avete permesso a Dio di entrare nel vostro cuore? Dio ha agito manifestamente in mezzo a voi eppure non vi siete lasciate toccare fino in fondo!.

15E tu Cafarnao, forse che sarai innalzata fino al cielo? Fino agli inferi sarai gettata! 16Chi ascolta voi ascolta me, e chi rigetta voi rigetta me. Chi rigetta me, rigetta chi mi ha mandato. Cafarnao è il luogo dove Gesù è andato ad abitare, è il luogo dove c’è la casa di Pietro, è il luogo dove Gesù si è fermato maggiormente, per questo il discorso per Cafarnao è un po’ diverso. Le parole di Gesù lasciano trasparire da parte di Cafarnao la tentazione di essere migliore delle altre perché è lì che Gesù vive. La presenza di Gesù non genera conversione ma diventa addirittura uno strumento per accrescere la superbia, la considerazione di essere meglio degli altri. Il rischio degli apostoli che stanno vicini a Gesù è proprio quello di chiedersi chi tra loro sia più importante. Il problema è che la presenza di Gesù non è diventata un’occasione per avere un rapporto con Gesù qualitativamente superiore ma è diventata motivo di vanto sugli altri. La superbia è un grande inganno perché sposta il contenuto della relazione su un desiderio di essere di più degli altri. Questo atteggiamento è diabolico.

L’ultima parte del brano fa riferimento all’ascolto, dove ascoltare significa accogliere ma anche obbedire, cioè fare in modo che all’ascolto segua una conseguenza. Chi non obbedisce non sta ascoltando. Chi non rinnega se stesso e prende la sua croce per seguire Gesù non ha ascoltato. L’ascolto vede nella parola di Dio uno strumento di Dio che parla. L’ascolto vero è la capacità di guardare il messaggio che arriva e la strumentalità del messaggero. Il messaggero può avere tante facce ma ciò che è importante è la risposta a colui che Dio mi ha mandato. Noi ascoltiamo non i messaggeri, ma la Parola di Dio di cui sono strumento.

  • Le risonanze personali

vv. 13-16 Il fatto che si citino tante città mi fa pensare che si tratti di un riferimento al dualismo case-città che abbiamo

visto nel brano precedente. Le città citate mi fanno pensare al criterio dell’annuncio del Regno di Dio. E’ singolare che la parola miracoli sia stato espresso in greco con dynàmeis, letteralemte “forze”, mi rimanda alla forza e all’autorità dei discepoli.

  • Alcune domande per riflettere
  • Penso che ci sono episodi della mia vita in cui Dio ha mostrato la sua potenza? Quali sono queste situazioni? Ho l’abitudine di ricordarle o non ci faccio caso? E perché?
  • Avverto la necessità non formale di chiedere perdono? Insomma: sono mai stato “toccato” dall’azione di Dio?
  • Quali i modi di pensare che Dio chiede di cambiare? Sono disposto a farlo? Ho mai avvertito/avverto il pentimento di qualcosa che sento mi richieda penitenza?
  • La familiarità con Dio è una brutta consigliera: genera superbia, pensiero di essere migliori degli altri. Ho mai pensato che la mia vicinanza alla Chiesa mi ponga su un piano superiore rispetto agli altri fratelli? Ho provato a ragionare nell’ottica del servizio degli altri o nel servizio di me? Ho mai pensato che se ho avuto di più sono necessariamente chiamato ad offrire a chi non ha avuto come me?
  • Il messaggero di Dio è uno strumento: io però sono chiamato a rispondere a Dio non allo strumento. Sono mai stato tentato – nel bene e nel male – di fermarmi davanti allo strumento? Ho mai agito/re-agito perché esso è per me piacevole/inviso? Rifletto abbastanza sul fatto che Dio mi chiederà conto della Sua Parola che richiede a me in prima persona una risposta?