28) Mt 9,9-13 – 31/01/2024

1. Il testo

9E allontanandosi Gesù di là vide un uomo seduto al banco delle imposte, chiamato Matteo, e dice a lui: «Seguimi». E alzatosi lo seguì. 10E avvenne che, seduto [a mensa] nella casa, ecco molti pubblicani e peccatori giunti, sedevano con Gesù e i suoi discepoli. 11E avendo visto, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Perché con i pubblicani e i peccatori mangia il vostro maestro?». 12Quegli avendo udito disse: «Non hanno bisogno del medico quelli che sono forti, ma quelli che stanno male. 13Essendo andati, imparate cosa è: “misericordia voglio e non sacrificio”. Non sono, infatti venuto a chiamare giusti, ma peccatori».

2. Il messaggio

Lo sguardo su Matteo

     Sempre a Cafarnao Gesù si allontana dalla sinagoga ove aveva perdonato i peccati al paralitico e compie un altro gesto dirompente: guarda un uomo seduto al banco delle imposte e lo chiama e seguirlo. Si tratta di un pubblico peccatore, inviso al popolo e palesemente irreligioso. Ancora una rottura di schema prefissato. Di un pregiudizio.

     Prende più luce la comprensione di questa chiamata se si mette in relazione con quello che accade – sempre a Cafarnao – prima della partenza per Gadara. Ovvero le domande che un «discepolo» e uno «scriba» pongono a Gesù per seguirlo (8,19-22). Mateo, invece, lo segue senza proferir parola. Luca aggiunge che egli «abbandonato tutto, si alza e comincia a seguirlo» (5,28).

La mensa con i peccatori

     Ma la situazione critica non termina qui, anzi sembra accrescersi in criticità. Ritroviamo in un momento indeterminato Gesù seduto a mensa nella casa, verosimilmente di Matteo. Un gesto questo di condivisione, ma anche di intimità e di profondo significato religioso. Avviene che insieme a lui e i suoi discepoli (tra i quali adesso anche Matteo) si siedono anche «molti pubblicani e peccatori giunti». Arrivano e si siedono. Non sentono, cioè, da parte di Gesù quel giudizio che impedisce loro di stare a tavola con lui. La chiamata di uno di loro ha “rotto gli argini” della diffidenza ed ora essi sono al massimo della vicinanza possibile: a tavola con lui.

     È proprio questa “vicinanza” che provoca la reazione dei farisei (mostrandone la loro “distanza” da Gesù) , che si rivolgono ai discepoli chiedendo spiegazioni rispetto a questo gesto inconsueto che lo poneva a strettissimo contatto con i peccatori. Gesto che era volutamente evitato per non entrare in contatto diretto (comunione con loro).  

La mensa di Gesù

     La risposta di Gesù non nega la condizione di peccato di costoro. Piuttosto connota la sua posizione rispetto a essa. Tre sono le parole chiave che offrono le coordinate dello stare a mensa di Gesù.

     Innanzitutto il «bisogno». Egli non si preoccupa di sé, del fatto di potersi “contaminare” mediante il contatto con costoro. Si preoccupa di loro: del fatto che hanno bisogno, perché sono «ammalati».

     Questo significa di fatto «misericordia», cioè la compassione per una condizione di indigenza, rispetto alla quale si compiono delle azioni “indebite”, cioè non dovute. Il che può avvenire solo mettendo in secondo piano la condizione di “debito” dell’altro, non facendoglielo pesare. La «misericordia» deve precedere – non annullare – il «sacrificio».

Lo sguardo di Gesù

     Una misericordia che non si ferma all’accoglienza, ma chiama alla sequela. Luca aggiungerà per specificare rispetto a Marco e Matteo che la chiamata è «a conversione» (5,32). Perché la funzione del medico non è solo quella di farsi prossimo, ma guarire, salvare. Una salvezza che avviene più con la misericordia che con il sacrificio. Non con la semplice azione liturgica – che può potenzialmente rimanere arida e fredda a(fino ad essere disumana) – ma con una disposizione umana di prossimità (appunto vicinanza) che sa farsi carico dei pesi degli altri. Come d’altronde Gesù ha detto esplicitamente e mostrato di fare (dopo averlo predicato nel sermone della montagna) dalla purificazione del paralitico in poi.

3. Domande

  1. [La mia fede] «E alzatosi lo seguì». La chiamata di Gesù provoca talvolta nei discepoli domande e tentennamenti che fanno procrastinare la sequela, fino talvolta a lasciarla sfumare (Mt 8,19-22). Matteo invece – pur vivendo da peccatore – risponde prontamente, abbandonando tutto ciò che la chiamata fa diventare istantaneamente il suo passato. Quanto la parola di Gesù mi mostra la mia vita precedente come passata? Quanto la mia vita mi lega e mi immobilizza interiormente? Quanto desidererei la libertà per provare a seguire Gesù? Come si chiamano gli impedimenti?
  2. [Gli altri] «Ecco molti pubblicani e peccatori giunti, sedevano con Gesù». L’azione accogliente di Gesù che «chiama» Matteo rompe gli argini della diffidenza e del pregiudizio. E così molti peccatori non solo si avvicinano a Gesù, ma trovano il coraggio di sedere a mensa con lui. Quanto le mie parole e i miei gesti dicono giudizio e precomprensione verso i fratelli? Sono facilmente avvicinabile per essere di conforto e sostegno all’altro? Trovo tempo, disponibilità per ascoltare? Cosa mi dicono di me i comportamenti altrui verso di me?
  3. [La prassi] «Misericordia voglio e non sacrificio». La prossimità che Gesù cerca con i peccatori è l’espressione della misericordia. Di un’azione indebita che egli compie nei confronti di chi riconosce ammalato. Anche noi dobbiamo decidere se guardare i fratelli con lo sguardo della legge o della misericordia. Quanto il mio sguardo osserva nel fratello la trasgressione e quanto infermità? Quanto il mio cuore spinge per punire e quanto per aiutare? Quanto sono giudice e quanto salvatore del mio fratello?

4. Risonanze

v.9 E allontanatosi Gesù vide un uomo seduto al banco delle imposte, chiamato Matteo, e dice a lui: «Seguimi !

     E alzatosi lo seguì.

·   Ancora una volta, dopo tante guarigioni Gesù “chiama” (in continuazione del brano di Matteo cap. 8, 18-27) un uomo nel pieno della sua attività lavorativa, che non è una qualunque ( ad es. la pesca, seppur importante) : si tratta di un pubblicano a cui quel lavoro frutta molto denaro (anche discutibilmente) quindi un uomo molto legato al denaro ma nonostante la posta in gioco sia alta non esita un attimo ad alzarsi, lasciare il banco delle imposte e seguire Gesù.

v.12 Quegli avendo udito disse:Non hanno bisogno del medico quelli che sono forti, ma quelli che stanno male.

·   L’intervento di Gesù sembra quasi protettivo nei confronti di quei suoi piccoli che i farisei vogliono scandalizzare ma anche nei confronti di tutti quei pubblicani e peccatori che sono giunti lì perché si riconoscono come coloro che stanno male e che quindi hanno bisogno del medico che così può agire. Solo chi riconosce di stare male può avere bisogno del medico. I forti sono quelli che si sentono forti e non sentono il bisogno di chiedere l’aiuto del medico per farsi curare.

v. 13 Essendo andati imparate cosa è:Misericordia voglio e non sacrificio

  • Come spesso succede, nel vangelo di Matteo sono citate le Sacre Scritture, in questo caso il Profeta Osea. La misericordia implica inevitabilmente il riconoscere i propri peccati ovvero un pentimento sincero e una richiesta di perdono. I sacrifici che compiono i Farisei sembrano diventare ormai sterili e distaccati dall’Amore di Dio. Il verbo usato“ Imparate“ mi fa pensare che si impara sopratutto facendo pratica (dell’Amore di Dio)  non solo teoria.