91) Lc 20,20-26 – 22/06/2022

  1. Il testo

       20E avendolo osservato mandarono spie che si dichiarassero giusti, per catturare il suo discorso, così da consegnarlo al principio e all’autorità del governatore. 21E gli domandarono dicendo: «Maestro, sappiamo che rettamente parli e insegni e non guardi in faccia, ma secondo verità insegni la strada di Dio. 22È lecito a noi dare il tributo a Cesare o no?». 23Conoscendo la loro malizia disse verso di loro: «Mostratemi un denaro: a chi appartiene l’immagine e l’epigrafe?». Quelli dissero: «A Cesare». 25Quello disse verso di loro: «Dunque restituite a Cesare le cose di Cesare e le cose di Dio a Dio». 26E non avevano la forza di catturare la sua parola davanti al popolo e stupiti per la sua risposta tacquero.

  • Il messaggio

       20E avendolo osservato mandarono spie che si dichiarassero giusti, per catturare il suo discorso, così da consegnarlo al principio e all’autorità del governatore. Si tratta di una parabola significativa, che Gesù racconta in relazione a ciò che sta accadendo, tanto che gli scribi e i sommi sacerdoti cercarono di mettere le mani su di Lui (Cfr. Lc 20,19), provano ad arrestare Gesù. Gli scribi, i sommi sacerdoti e gli anziani non sono più degli interlocutori credibili nei confronti di Gesù, si sono manifestati come Suoi avversari. L’autodichiarazione di giustizia ha a che fare con la perdita di credibilità dei mandanti, che devono nascondersi dietro persone che in realtà non hanno nulla a che fare con la questione.
Al versetto 20, il verbo teréo indica la custodia della parola, la meditazione, l’osservare la parola, ma in questa accezione, accompagnata dalla preposizione epì che lo rende peggiorativo, la custodia da parte di costoro diventa un’osservazione e un controllo di Gesù.

       E’ pertanto interessante come un verbo che significa «meditare, custodire, riflettere e portare dentro il cuore» qui diventa «controllare, spiare, osservare con sospetto». Possiamo avere un atteggiamento dal cuore aperto verso la Parola di Dio, riponendo qui fiducia nella Parola, desiderando di conformarsi a quella Parola, oppure al contrario possiamo avere un atteggiamento sospettoso e controllore, perché c’è un timore nei confronti della Parola. Possiamo chiederci: vogliamo privare della libertà di azione la parola, o vogliamo che la Parola agisca nel nostro cuore: prevalgono in noi la fiducia o la paura? Vogliamo che la Parola entri nella nostra vita oppure no? Diversamente, Maria custodisce tutte le Parole di Gesù. Ci sono diversi modi di ascoltare la Parola di Dio.

       Se non abbiamo il desiderio che la Parola ci trasformi, stiamo facendo davvero un percorso dietro Gesù, siamo davvero Suoi discepoli? Un atteggiamento diffidente non è un atteggiamento di un discepolo. Scribi e Farisei provano a consegnare Gesù all’autorità che è loro estranea, ovvero il potere civile e militare. Si sceglie di consegnare Gesù ad una autorità che in qualche modo non si riconosce (che si percepisce come causa di cattività): c’è qui una contraddizione.

       21E gli domandarono dicendo: «Maestro, sappiamo che rettamente parli e insegni e non guardi in faccia, ma secondo verità insegni la strada di Dio. 22È lecito a noi dare il tributo a Cesare o no?». Dietro questa fase c’è un conflitto: nella mentalità di chi pone la domanda, c’è malizia, perché chi pone la domanda vede una contraddizione insanabile tra l’autorità di Cesare e l’autorità di Dio.

       23Conoscendo la loro malizia disse verso di loro: «Mostratemi un denaro: a chi appartiene l’immagine e l’epigrafe?». Quelli dissero: «A Cesare». Emerge anche una modalità con la quale Gesù è maestro che parla e insegna rettamente, senza fare favoritismi. Il favoritismo infatti può avere due cause: è una forma di timore reverenziale e servile; oppure nasce da un effettivo affetto nei confronti di colui che vorremmo controbattere. In entrambi i casi, o che sia un timore o una seduzione, si rischia di non dire la verità così com’è. Nel cuore di Gesù ciò non accade, c’è una grande autorità, un grande amore e timore verso il Padre. Questo ci dimostra che chi dentro di sé non ha Dio, non può seguirLo, perchè si può testimoniare la verità solo se crediamo e amiamo la verità. Tutte le volte in cui non abbiamo testimoniato la verità è perchè non l’abbiamo amata abbastanza. Gesù dunque vede e conosce dentro la loro malizia, doppiezza, il fatto che essi non sono sinceri anche se si dicono giusti. La verità non ha bisogno di grandi discorsi, la verità si rende evidente da sola, la verità non è un discorso filosofico, ma la corrispondenza della realtà delle cose con le parole.

       25Quello disse verso di loro: «Dunque restituite a Cesare le cose di Cesare e le cose di Dio a Dio». 26E non avevano la forza di catturare la sua parola davanti al popolo e stupiti per la sua risposta tacquero. Il verbo restituire dovrebbe farci riflettere: se dobbiamo restituire, non è qualcosa che ci appartiene. Il denaro è una realtà che appartiene al mondo, a Dio non interessa. Bisogna restituirlo, renderlo a coloro i quali lo hanno coniato, ricordando che il denaro ha valore fintanto che ne venga riconosciuta convenzionalmente la validità da quanti lo usano. Quel valore nominale, quindi, appartiene al mondo. A Dio bisogna rendere le cose Sue.

       La vera questione è dunque chiedersi cosa appartenga a Dio. Appartiene a Dio l’uomo stesso, per essere fatto a Sua immagine e somiglianza. Quello che rende uomo tale, non è il fatto di avere una vita biologica, così come non è quello di avere una vita psicologica; quello che è proprio dell’uomo, invece, è una dimensione di libertà, che appartiene allo spirito, perché questo trascende e supera la vita psichica.  Dio desidera che l’uomo Gli restituisca ciò che gli appartiene. L’unica cosa che noi abbiamo e che possiamo restituire a Dio è il nostro atto libero, il nostro sì. E’ questo il proprio dell’essere umano. E in che modo si restituisce a Dio l’atto libero? Rispondendo sì alla Sua Parola, rendendo la propria vita, ricordando che siamo stati creati per mezzo di una Parola.

       Cosa desidera Dio da noi? Che rispondiamo «fiat» alla Sua volontà. Abbiamo l’esempio di Maria, così come l’esempio di Gesù nell’orto degli Ulivi: «Padre, non sia fatta la mia ma la Tua volontà». Il rischio è duplice: che ci facciamo prendere dalla tentazione che Dio vuole i nostri denari, i nostri beni, le nostre cose, quando invece a Dio non interessa avere le nostre cose, perché ha creato tutto Lui. A Dio interessa la libertà del cuore. Inoltre, possiamo pensare di soddisfare Dio dandoci dei denari, dandoci dei beni, delle cose secondarie. Dio invece vuole il cuore, la totalità della persona.

       La risposta di Dio fa dunque perdere la forza agli interlocutori. Il “silenzio che deriva dallo stupore” ricorda tanto Nazareth: la Parola di Dio può stupire, può lasciare a bocca aperta, ma poi è seguito da un atto di fede? Questa Parola di Gesù fa semplicemente tacere costoro nella loro intenzione malvagia e maliziosa.

       Il brano dunque mette in luce l’integrità del Cuore di fronte alla Parola di Dio: se il nostro cuore non cambia, non cerchiamo la verità, perché la Parola di Dio può cambiare la vita, a patto che noi vogliamo farcela cambiare, a patto che il nostro rapporto con la Parola sia un rapporto di apertura, di meditazione, di custodia e non di controllo e di allontanamento, di costrizione, forzatura e cattività della Parola. In tutto il brano la Parola di Gesù incontra dei cuori già induriti che al massimo possono tacere ma farsi cambiare.

  • Alcune domande per riflettere
  • [La mia fede] La più grande tentazione che il nemico ci può insinuare è che Dio voglia i nostri beni. Egli piuttosto cerca ciò che gli appartiene in noi. Di cosa si tratta? Cosa penso che di me appartenga a Dio? Cosa sono chiamato a restituire a Lui?
  • [Gli altri] Gesù insegna la via di Dio senza guardare in faccia a nessuno. Mi lascio io intimidire/sedurre nella fede/testimonianza cristiana da qualcuno? Quali sono oggi i volti che più mi tentano in una fedeltà integra alla Parola di Gesù?
  • [La prassi] Chi vuole catturare la parola di Gesù ne viene catturato. L’impotenza nel rispondere e lo stupore è il segno di un disarmo interiore. Ma non necessariamente di una sequela. Quanto la parola disarma semplicemente le mie obiezioni e quanto io ne sono discepolo?