51) Lc 10,25-37 – 21/04/2021

  1. Il testo

25Ed ecco un [dottore] della legge si alzò per tentarlo dicendo: «Maestro, dopo aver fatto cosa erediterò la vita eterna?». 26Quello disse verso di lui: «Nella legge cosa è scritto? Cosa vi riconosci?». 27Quello rispondendo disse: «Amerai [il] Signore il Dio tuo da tutto [il] tuo cuore e con tutta l’anima tua e con tutta la tua forza e con tutta la tua intelligenza, e il prossimo tuo come te stesso». 28Gli disse: «Hai risposto correttamente. Fai questo e vivrai». 29Ma quello volendo giustificarsi disse verso Gesù: «E chi è il mio prossimo?». Accolto[lo] Gesù disse: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò in briganti, i quali anche avendolo spogliato e percosso a sangue se ne andarono lasciandolo mezzo morto. 31Per coincidenza un sacerdote scendeva per quella strada e avendolo visto passò oltre. 32Similmente anche un levita giunto in quel luogo, e vistolo, passò oltre. 33Un samaritano in viaggio, giunto presso di lui e avendolo visto, fu preso da compassione, 34e avvicinatosi fasciò le sue ferite dopo avervi versato olio e vino. Dopo averlo caricato sul proprio animale lo condusse in albergo e si prese cura di lui. 35E l’indomani tirò fuori e diede due denari all’albergatore e disse: “Prenditi cura di lui e ciò che dovessi spendere [in più] io al mio ritorno te lo restituirò”. 36Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è incappato nei briganti?». 37Quello disse: «Colui che ha fatto misericordia con lui». Disse a lui Gesù: «Va’ e tu fai lo stesso».

  • Il messaggio

Il brano comincia con una domanda che tenta Gesù ma che allo stesso tempo esprime una prospettiva che non funziona troppo:  25Ed ecco un [dottore] della legge si alzò per tentarlo dicendo: «Maestro, dopo aver fatto cosa erediterò la vita eterna?». La domanda esprime un fare, uno sforzo per raggiungere un obiettivo, è una visione un po’ pragmatica, il dottore della Legge intende ottenere il Regno in cambio di qualcosa, poterselo quasi comprare.

Gesù risponde: 26Quello disse verso di lui: «Nella legge cosa è scritto? Cosa vi riconosci?». Il verbo greco anaghighnoskein esprime una conoscenza che può essere considerata previa. Possiamo porci alcune domande: possiamo riconoscere qualcosa che non conosciamo? No. Possiamo riconoscere nella Parola di Dio qualcosa di cui non abbiamo fatto esperienza? C’è la possibilità che la nostra lettura della Parola di Dio sia una lettura arida, senza esperienza, piatta?

27Quello rispondendo disse: «Amerai [il] Signore il Dio tuo da tutto [il] tuo cuore e con tutta l’anima tua e con tutta la tua forza e con tutta la tua intelligenza, e il prossimo tuo come te stesso». Guardando alle preposizioni, si notano un «da» e tre «con». Sembra che l’esperienza di Amore che va fatta, vada ritrovata nel cuore. È anche un modo di leggere le Scritture: la Parola di Dio si può leggere con un arida intelligenza oppure la Lectio Divina è un portare la Parola di Dio nel cuore che è il luogo a partire dal quale si fa esperienza dell’Amore di Dio e del prossimo. Se non si porta o non si riesce a trovare nel cuore questo Amore, lo si può trovarlo nella Parola? E’ certamente difficile. San Gregorio Magno afferma che la Parola ha anche una funzione specchio: ci restituisce chi siamo, se dunque leggiamo la Parola con un cuore arido, questa non ci può restituire l’ Amore.

28Gli disse: «Hai risposto correttamente. Fai questo e vivrai». «Vivrai» sembrerebbe scavalcare il significato di «erediterai la vita eterna» e attestarsi sul presente: «comincerai a vivere già da adesso» come se la vita eterna cominciasse da subito.La vita eterna, infatti, è espressione di un modo con cui viviamo la nostra esistenza. Se la Parola di Dio è una cosa staccata dal nostro cuore e non interagisce con la nostra vita, diventa qualcosa che non ci riguarda nel presente ma solo nel futuro. Gesù invece sottolinea che già adesso si può vivere e sperimentare questa dimensione della vita a partire da una vita che è nel cuore, a partire dal cuore. Ci viene in mente uno dei brani più letti del periodo pasquale, Gv. 20,19-31, in cui Gesù appare ai suoi discepoli e fa spesso una medesima operazione: mostra il suo cuore squarciato, il costato e le piaghe, ovvero mostra la sua esperienza di Amore.

A partire anche dalle nostre piaghe, tra le pieghe delle nostre fatiche noi possiamo riscoprire il mistero dell’Amore di Dio.Da dove arriva l’Amore per il prossimo? La misericordia è la pietà del cuore, quindi arriva dal cuore. E’ pertanto necessario scoprire il proprio cuore, con tutte le fatiche che vi albergano, altrimenti non si può arrivare a questo Amore. E’ il mistero terribile della fatica e dell’Amore, della sofferenza e della redenzione. Il racconto è l’espressione di questa esperienza.

29Ma quello volendo giustificarsi disse verso Gesù: «E chi è il mio prossimo?» La chiave del racconto di Gesù, anche quando descriverà i tre personaggi della parabola, è la misericordia, che è il passaggio che fa cambiare atteggiamento. Giustificarsi significa apparire giusti davanti a Dio. Quando qualcuno vuole giustificarsi, vuole discolparsi, scrollarsi delle responsabilità.

                Accolto[lo] Gesù disse: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò in briganti, i quali anche avendolo spogliato e percosso a sangue se ne andarono lasciandolo mezzo morto. 31Per coincidenza un sacerdote scendeva per quella strada e avendolo visto passò oltre. 32Similmente anche un levita giunto in quel luogo, e vistolo, passò oltre. 33Un samaritano in viaggio, giunto presso di lui e avendolo visto, fu preso da compassione, 34e avvicinatosi fasciò le sue ferite dopo avervi versato olio e vino. Dopo averlo caricato sul proprio animale lo condusse in albergo e si prese cura di lui. 35E l’indomani tirò fuori e diede due denari all’albergatore e disse: “Prenditi cura di lui e ciò che dovessi spendere [in più] io al mio ritorno te lo restituirò”. L’uomo che scende da Gerusalemme a Gerico è un uomo religioso; «incappare» è un verbo che esprime un caso non prevedibile per il quale l’uomo non ha nessuna responsabilità; i briganti, nelle loro azioni, sono spietati e lo abbandonano lasciandolo esanime. «Per coincidenza» un sacerdote che scende per quella strada (probabilmente venendo da Gerusalemme, dal Tempio), si trova di fronte il malcapitato, sembra che Dio stia chiedendo l’aiuto del sacerdote per soccorrere l’uomo. Possiamo domandarci: Quel sacerdote è un angelo mandato da Dio?Quel sacerdote dovrebbe essere, nell’amore che deve avere verso il prossimo, obbligato/chiamato come espressione dell’Amore che Dio ci comanda? E’ l’esecutore dell’Amore di Dio oppure Dio deve mandare un Angelo immateriale che però è sempre un essere che obbedisce al comando di Dio?

C’è, nell’episodio, un discorso di corresponsabilità che ha a che fare con la volontà di Dio di volerci soccorrere attraverso un fratello; se questi si rifiuta è la sua sordità che non permette all’azione di Dio di arrivare a noi. La mancanza di comandamento verso Dio diventa mancanza di comandamento verso il fratello e il rischio, molto alto, è che potrebbe rendere Dio, ai nostri occhi, responsabile del suo mancato soccorso. Ciò che impressiona nella scena è  l’atteggiamento del sacerdote che viene dalla preghiera, perché vuole raggiungere la vita eterna, ma passa oltre e non considera chi è nel bisogno.

Possiamo chiederci: qual è il nostro modo di capire la vita eterna? il fratello, in relazione ad essa, è un ostacolo o è una possibilità?La questione riguarda come si concepisce Dio e la vita eterna. Se il momento della sola preghiera esaurisce il momento del rapporto con Dio allora esaurisce anche il rapporto con la vita, perché la vita di Dio non entra nella nostra vita quotidiana.

Lo stesso accade con il Levita, uno che per diritto di nascita è un sacerdote in Israele. Il quale non sta scendendo ma «giunge», forse per andare a pregare al Tempio, ma in entrambi i casi il fratello è un problema.

Il terzo caso riguarda un Samaritano, un eretico che adora Dio non sul monte Sion a Gerusalemme ma su un altro monte in Samaria. Anche lui è in viaggio, anche lui lo vede ma non passa oltre, ha compassione. La compassione, che è l’opposto del passare oltre, è ciò che ci permette di fermarci, è la pietà, è qualcosa che parte dal cuore («amare Dioda tutto il tuo cuore»). Se non si accede al cuore, ma si va di testa, non si accede alla compassione. Cosa è capace di fare quest’uomo grazie alla compassione? La prima cosa che fa è disinfettare le ferite del malcapitato e fasciargliele, lo porta poi in un luogo al sicuro e si prende cura di lui. La consequenzialità delle azioni risentono di chi ha vissuto nel proprio cuore questa dimensione di sofferenza e sa come si fa. Ciò che impressiona è che quest’uomo, che è l’esempio di Gesù, sa che innanzitutto bisogna curare le ferite, lenirle perché quando la ferita fa molto male non si ragiona, bisogna quindi addolcire il dolore e poi caricarselo (farsi carico della persona) e, una cosa che non finisce mai, prendersi cura di lui. Infatti, anche quando  il Samaritano se ne va, egli continua a prendersi cura del malcapitato dando dei soldi all’albergatore, chiedendogli di prendersi a sua volta cura di lui anche durante la sua assenza fisica.

36Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è incappato nei briganti?» La domanda di Gesù non riguarda più “chi è il tuo prossimo” ma chiede “quando tu sei stato prossimo”. Non c’è più da riconoscere chi è il prossimo ma quando si è stati prossimi. C’è il capovolgimento della prospettiva del sacerdote, che cammina, va da Dio, e il malcapitato è un ostacolo su cui passare sopra. Invece l’uomo deve cambiare la sua prospettiva perché Gesù gli fa capire che lui è il prossimo e tocca a lui.

 37Quello disse: «Colui che ha fatto misericordia con lui». Disse a lui Gesù: «Va’ e tu fai lo stesso».

Questo significa che si può amare il prossimo quando:

  1. ci si fa prossimi dell’altro;
  2. si ha Misericordia, perché è ciò che ci  fa fermare davanti all’altro per aiutarlo.

Il nostro amare il prossimo è totalmente connotato dalla nostra capacità di essere misericordiosi e appartiene all’esperienza del proprio cuore. Si accede alla Misericordia solo se si riconosce la sofferenza del proprio cuore e un uomo dolorante è capace di guardare il dolore delle persone. Quando Gesù, nel brano giovanneo citato sopra, mostra il costato e le piaghe e dice «Pace a voi», parla dell’esperienza di un uomo che ha vissuto profondamente il dolore ed è capace profondamente di compatire gli altri. Nella rappresentazione del Caravaggio Gesù che prende la mano di Tommaso e la tira nel suo costato, simboleggiando il voler far prendere conoscenza a Tommaso delle sue proprie ferite.

La prova dell’amore verso l’altro arriva quando nonostante la fatica si continua a voler bene. Da dove arriva la capacità di amare gli altri? Dalla fatica, se si rifiuta la fatica si rifiuta anche di amare l’altro, anzi spesso si arriva a colpevolizzare l’altro della propria fatica.Gesù invita il dottore della Legge a fare lo stesso: l’amore del prossimo si chiama misericordia, pietà del cuore, certo non è l’amore con il quale possiamo amare Dio, piuttosto il contrario.Chi fugge la sofferenza fugge anche la crescita dell’Amore. La lectio Divina ha una funzione specchio e serve a farci vedere chi siamo veramente, rendendoci sempre più capaci di leggere il nostro cuore. La giustificazione esprime invece sempre disimpegno.

  • Le risonanze personali

vv. 25-37 Il dottore della legge vuole tentare Gesù che conosce il cuore dell’uomo e non si fa trovare impreparato. 

Ciò che mi colpisce è il comandamento al vv. 27. Quanto è difficile riuscire a vivere questo comandamento nella totalità. 

Un’altra cosa che mi colpisce è la definizione di prossimo che dalla domanda del dottore alla risposta di Gesù si ribalta la prospettiva. 

v.31 passò oltre: quante volte Signore io passo oltre i bisogni dei miei fratelli,  quante volte non mi voglio sporcare le mani dei problemi dei miei fratelli e passo oltre? Con quanta compassione il samaritano si prende cura del malcapitato con gli stessi gesti di Gesù! Come faccio ad Amare Dio che non vedo se non amo i fratelli che vedo? Sarei un mentitore (1 Gv 4, 20).

vv. 25-37 A prendere la parola è proprio un sapiente, uno che vuole fare il “bravo”, che vuole giustificarsi. La parabola parla di prossimità, un donare tutto, oltre quello di cui c’è bisogno, infatti il Samaritano non solo cura il malcapitato al momento, ma si occupa di lui anche dopo. L’accenno al Samaritano non è casuale, egli certamente si fa prossimo, ma anche il malcapitato è chiamato ad amare il suo prossimo che è un Samaritano, un eretico, la persona inaspettata. E se Gesù è il buon Samaritano, noi sappiamo farci poveri e indifesi come il malcapitato? Tanto da accogliere la Sua misericordia che spiazza tutte le nostre aspettative e sempre ci dà molto id più di quello che noi, limitatamente, ci aspettiamo?

4. Alcune domande per riflettere

  • Che cosa è per me la vita cristiana e cosa è la vita eterna?
  • Cosa riconosco nella Scrittura e cosa nel mio cuore?
  • Penso che ci sono degli atteggiamenti che per me sono di giustificazione/disimpegno?
  • Il fratello/sorella è per me un ostacolo o una possibilità di arrivare a Dio?
  • Mi sento prossimo o distante dal fratello/sorella? In che modo sono prossimo ai fratelli/sorelle     nella vita?