5) Lc 1,46-56-23/10/19

1.Il testo

                46 E disse Maria: «Magnifica la mia anima il Signore, 47e gioisce il mio spirito su Dio, il mio salvatore, 48poiché ha volto lo sguardo sulla piccolezza della sua serva. Ecco infatti da ora mi chiameranno beata tutte le generazioni, 49poiché ha fatto per me grandi cose il Potente, e santo il suo nome,

                50E la sua misericordia di generazione in generazione su quelli che lo temono. 51Ha fatto potenza nel suo braccio, Ha disperso coloro che si mostrano superiori nel pensiero dei loro cuori, 52Ha deposto i potenti dai troni e ha innalzato i piccoli. 53Gli affamati ha riempito di beni e i ricchi ha rimandato vuoti. 54Ha soccorso Israele suo servo, perché fosse ricordata [la sua] misericordia, 55 Come ha parlato ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza nel secolo». 56Rimase Maria con lei circa tre mesi, e [poi] tornò a casa sua.

2. Il messaggio

                46 E disse Maria: «Magnifica la mia anima il Signore, 47e gioisce il mio spirito su Dio, il mio salvatore. L’evangelista descrive uno stato d’animo. Vi è una grandissima gioia che viene tradotta con due verbi: “magnificare” e “gioire”. “Anima” e “spirito” sono due sinonimi (per quanto in greco ci sia una distinzione tra psyché e pneuma), e potremmo tradurre con la frase: «la mia anima si allarga di gioia per quello che il Signore ha fatto per me».

                48poiché ha volto lo sguardo sulla piccolezza della sua serva. Ecco infatti da ora mi chiameranno beata tutte le generazioni. Maria si scopre guardata da Dio, con una espressione che è stata utilizzata in precedenza anche da Elisabetta (Lc 1, 24: «Così ha fatto per me il Signore nei giorni in cui ha volto lo sguardo per togliere il mio disonore tra gli uomini»); quello che provoca la sua gioia è il fatto di scoprire che il Signore ha rivolto lo sguardo su di lei. Maria aggiunge qualcosa in più rispetto ad Elisabetta con un vocabolo, tapeinosis, che abbiamo tradotto con “piccolezza” ma che non rende (come non rende la traduzione “umiltà”, perché l’umiltà è anche una virtù). La tapeinosis (in italiano infatti esiste l’aggettivo “tapino”) incarna la condizione degli ultimi, di quelli che non contano niente (Verga li chiamerebbe “gli sconfitti”, nella Bibbia vengono chiamati “i poveri di Dio”, “i poveri di Jahvè”), di quelle persone che nella storia sono anonime, non hanno un ruolo ed un posto che possa connotarli per farli apparire anche solo minimamente. Se noi traducessimo con “umiltà” rischieremmo poi di identificare questo con una virtù, ma in questo caso non si sta parlando di una virtù bensì di una condizione. Maria sta dicendo che Dio ha guardato al suo essere ultima.

                In questo versetto c’è anche un capovolgimento, da essere ultima tutte le generazioni diranno che Maria è beata. Notiamo una situazione di enorme contrasto.

                49poiché ha fatto per me grandi cose il Potente, e santo il suo nome, 50E la sua misericordia di generazione in generazione su quelli che lo temono. Questo è il punto fondamentale che poi spiega tutto il resto, il soggetto delle azioni è il Potente (noi traduciamo “Onnipotente” ma letteralmente è “Potente”, dynatos) che ha fatto grandi cose per lei ed in lei. Questo è importante perché la condizione degli ultimi è una condizione di resa, sanno che non potranno mai cambiare la storia e vi è un’arrendevolezza; Maria sottolinea in fondo che l’azione non la compie lei ed il soggetto è Dio, Colui che è Potente ha fatto grandi cose. Maria ringrazia perché nella sua vita accade quello che non sarebbe mai potuto accadere con le sue sole forze. C’è un rovesciamento della sua condizione e quindi la sua gioia deriva da quest’azione divina. Tutto questo si potrebbe interpretare come una forma di rivalsa, ma questa interpretazione non è nella linea delle parole di Maria perché, esattamente come ad Elisabetta, a Maria non importa il fatto che gli altri possano accorgersi di lei che è invisibile agli occhi del mondo, ma che Dio si sia rivolto a guardare lei (facendo un parallelo con la situazione di Elisabetta Luca utilizza lo stesso verbo, epiblepo). L’attenzione di Maria è rivolta all’azione di Dio e lei considera quest’azione superiore rispetto a tutte le altre cose che possono accadere, ed è proprio questo che permette l’azione di Dio.

                La seconda parte del brano (vv. 50-55) spiega in che modo si esercita l’azione di Dio. Questi agisce così perché l’ha promesso già ai padri, ad Abramo e a tutta la sua discendenza. L’azione di Dio è sempre stata presente nella storia del popolo d’Israele e continua ad essere fedele anche nella storia di Maria. La seconda parte spiega qualcosa che viene esteso dalla vita di Maria alla vita di ognuno, l’esperienza di quest’azione di Dio chiamato il Potente si manifesta su coloro che lo temono, i poveri, gli umili, i piccoli che sperimentano la Sua azione come misericordia.

                51Ha fatto potenza nel suo braccio. Come si manifesta l’onnipotenza di Dio nella nostra vita e nella storia? Maria risponde che si manifesta come forma di misericordia per quelli che lo temono. Che cos’è la misericordia? E’ l’intervento di Dio nei confronti del popolo che è in una condizione di inferiorità. Quando noi non percepiamo l’azione di Dio nella nostra vita come misericordia, c’è un problema. E’ possibile comprendere l’azione di Dio nella nostra vita al di fuori della categoria della misericordia? No. Sono due i modi d’intervenire di Dio: o soccorre o svuota, abbassa, allontana. Se soccorre ed innalza, se sostiene, è per misericordia. Tutte le volte in cui non percepiamo misericordia è perché non abbiamo la percezione di quello che siamo noi, Maria sta parlando di qualcosa che lei può percepire solo perché è ultima. Da questo punto di vista dovremmo interrogarci se abbiamo percezione della distanza tra noi e Dio, della Sua grandezza contrapposta alla nostra piccolezza, se il nostro rapporto con Dio si configura in una maniera asimmetrica oppure se è simmetrico, cioè se lo trattiamo come un nostro pari verso cui si può pretendere qualcosa e con ci si può arrabbiare. In quest’ultimo caso scomparirebbe la differenza tra Dio e la nostra persona, in questo metterci al pari di Dio c’è il primo peccato (il serpente dice: «sarete come Dio», Gn 3). Chi vive con questo atteggiamento non è nella condizione di essere ultimo, piccolo. L’essere piccolo è non dunque neanche limitabile a una condizione sociale. Si può essere anche l’ultimo degli ultimi e comportarsi senza timore di Dio. La condizione di piccolezza si verifica quando si ha percezione di se stessi. La verità di noi stessi emerge solamente davanti a Dio, perché siamo creati a Sua immagine e somiglianza. L’uomo non scopre chi è se non in relazione con Dio, senza questa relazione scompare la possibilità di conoscersi ed avere la propria dimensione, pur avendo la consapevolezza di avere determinate qualità. In fondo, la vita di quelli che chiamiamo santi, cioè persone che hanno fatto esperienza di Dio, è caratterizzata dal fatto che non avevano un’alta considerazione di sé. Si cresce solo nella verità della conoscenza di Dio e simultaneamente nella conoscenza di se stessi. Maria ha una consapevolezza chiara di chi è e di chi non è. Immaginiamo di avere un’idea di noi stessi molto elevata, di essere profondamente capaci ed intelligenti e supponiamo di ritenere che tutti i nostri successi dipendano solo dal nostro savoir-faire; questo, oltre che essere profondamente falso, è anche pericoloso perché oscurerebbe l’azione del Signore nella nostra vita.

                Ha disperso coloro che si mostrano superiori nel pensiero dei loro cuori, 52Ha deposto i potenti dai troni e ha innalzato i piccoli. 53Gli affamati ha riempito di beni e i ricchi ha rimandato vuoti. 54Ha soccorso Israele suo servo, perché fosse ricordata [la sua] misericordia, 55 Come ha parlato ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza nel secolo». 56Rimase Maria con lei circa tre mesi, e [poi] tornò a casa sua. Dio disperde coloro che si mostrano superiori (traduzione letterale di hyperephanos, e non c’è altro modo di tradurre perché se traducessimo “superbi” si parlerebbe di vizi e virtù come per gli “umili”). Dio li disperde nel pensiero dei loro cuori e nella convinzione di essere migliori degli altri, una persona che ragiona così si perde e non comprende più dov’è diretta. Dio depone i potenti dai troni ed innalza i piccoli, sono tutte azioni compiute per mostrare che la storia la fa misteriosamente Lui. Con «ha riempito di beni gli affamati ed ha rimandato vuoti i ricchi» si intende che Dio ha fatto in modo da capovolgere quelle situazioni che umanamente sono in dislivello. Non si tratta di una legge del contrappasso, ma della legge dell’azione di Dio nei confronti di quelli che sono superbi e di quelli che sono piccoli (cioè di quelli che sanno qual è la loro dimensione). Il problema non è prettamente politico-sociale, ma interiore. A seconda di come ci si è posti nei confronti Dio, Lui agisce nella storia, e questa è una cosa promessa già prima di Abramo ai Patriarchi, ed a tutta la discendenza. Dio ha sempre fatto così e Maria lo sperimenta, perché anche gli altri possano sperimentarlo.

                Maria arriva da Elisabetta mentre è al sesto mese di gravidanza e va via dopo tre mesi, quindi aspetta la nascita di Giovanni Battista. La nascita di Giovanni Battista è il compimento della promessa che Dio fa a Zaccaria, Maria assiste dall’inizio della sua visita al compimento della profezia.

                In conclusione la dinamica del Magnificat di Maria è un’esperienza personale che provoca gioia, e una traduzione di quest’esperienza personale nell’invito a sperimentarla nella propria vita.

3. Le risonanze personali

46. Magnifica la mia anima il Signore, 47e gioisce il mio spirito su Dio, il mio salvatore. Maria è piena di gioia ed esulta lodando il Signore per ciò che ha fatto per lei. Questa lode è un canto meraviglioso in cui passa la sua “sollecitudine”, il suo impeto, la sua concitazione, il suo fervore verso il Signore, che viene descritto da Maria proprio come se lo conoscesse molto bene. Ritrovo la stessa esultanza nell’incontro di Giovanni con Maria e quindi con Gesù, il Battista ne riconosce subito la presenza già dal grembo della madre. Sembra che Maria, rispetto agli altri che hanno incontrato il Signore, abbia subito contezza di quello che le sta accadendo, infatti al v. 48 dirà che “da ora”, da questo incontro e da questo “sì” “mi chiameranno beata tutte le generazioni”.

48poiché ha volto lo sguardo sulla piccolezza della sua serva. Il verbo “volgere” è stato utilizzato anche nel caso di Elisabetta a proposito del fatto che il Signore le ha tolto il disonore tra gli uomini, questo volgere lo sguardo del Signore su ciò che è piccolo è confortante per quando riteniamo che a causa delle nostre debolezze non siamo degni di essere visti dal Signore. Dobbiamo ricordarci che il Signore conosce le nostre fatiche ed è proprio in queste che Lui ci vede e ci chiama ad una crescita che si realizza in base a come decodifichiamo la fatica e a come rispondiamo a queste sollecitazioni.

46. Magnifica la mia anima il Signore Magnificare significa “rendere grande” o “far diventare grande”; dunque la sua anima rende a Dio la sua grandezza. Ma è forse anche vero il contrario: Dio ha reso “grande” l’anima di Maria, che col suo aiuto ha fatto largo, ha fatto spazio nel suo cuore a Dio ed al Suo Amore.

47e gioisce il mio spirito su Dio, il mio salvatore. Maria esprime gioia nello spirito ed è una gioia SU Dio cioè, penso, a motivo di Dio, della Sua azione e forse anche solo della Sua presenza nella sua vita.

Maria riconosce che Lui è il suo salvatore, dunque riconosce il suo bisogno di essere “salvata” e dunque di aver accolto colui che salva, ovvero Gesù.

48poiché ha volto lo sguardo sulla piccolezza della sua serva. Ecco infatti da ora mi chiameranno beata tutte le generazioni. Come Maria, se riconosceremo la nostra “piccolezza” innanzi a Dio, il nostro bisogno di essere salvati, il nostro bisogno di tornare a Lui che è l’origine della nostra vita, del nostro essere, allora Dio renderà “grande” la nostra esperienza di vita, opererà con potenza se lo lasceremo agire e saremo sempre più consapevoli dell’Amore che Dio riversa su di Noi, scorgendo sempre il Suo sguardo sui nostri bisogni e sulla nostra limitatezza.

50E la sua misericordia di generazione in generazione su quelli che lo temono. Chi ama (teme – teme di addolorare) Dio, vive la sua misericordia, la sua rinnovata vicinanza, la sua sollecitudine paterna. Così, inevitabilmente, prende l'”impronta” di Dio. Diviene sollecito nell’amore come Maria e ciò si riverbera nella famiglia, nella comunità, nella società e perfino nel tempo.

51Ha fatto potenza nel suo braccio, Ha disperso coloro che si mostrano superiori nel pensiero dei loro cuori. Qui rilevo un problema di percezione che spesso ci può affliggere: se ci allontaniamo da Dio diventiamo autoreferenziali, ci poniamo sui vari piccoli “troni” della nostra vita, ci crediamo potenti e quasi infallibili, facciamo di testa nostra. Ciò ostacola l’azione di Dio nell’esperienza umana, perché Lui può agire solo tramite la nostra debolezza, la nostra “arrendevolezza” e la nostra mansuetudine. Ciò non toglie che il Signore “ci prova” sino in fondo e in un modo o nell’altro dovremo tornare a fare un “bagno di realtà” e riprendere contatto con la nostra fragile natura umana. La potenza divina ristabilisce verità, ordine giustizia e, scrutando i cuori, rende a ognuno ciò di cui ha bisogno per portare frutto.54Ha soccorso Israele suo servo, perché fosse ricordata [la sua] misericordia. Dio mantiene le promesse fatte affinché possa essere ri-conosciuto per ciò che è: un Dio-Amore che cerca collaboratori nell’amore. Proprio come Maria che, nel pieno della sua “esaltazione gioiosa” non si ripiega su se stessa, ma condivide questa gioia e riversa l’amore di Dio sulla cugina Elisabetta, con quella sollecitudine che particolarmente una donna e una madre sa mostrare e che, probabilmente, rivela il volto anche “materno” di Dio. La domanda è: quanto nella mia vita riconosco l’insopprimibile necessità di contemplare e far trasparire il Suo volto?