46) Lc 9, 46-50 – 03/03/21

  1. Il Testo

46Entró un pensiero tra loro su chi fosse il più grande di loro. 47Ma Gesù, conosciuto il pensiero del loro cuore, preso un bambino lo pose vicino a sè 48e disse loro: “Chi accogliesse questo bambino nel mio nome accoglie me, e chi accogliesse me accoglie colui che mi ha mandato. Chi infatti diventa il più piccolo tra tutti voi costui è grande”. 49Rispondendo Giovanni disse: “Capo, abbiamo visto uno che scacciava demoni nel tuo nome e glie lo abbiamo impedito poiché non [ti] segue con noi”. 50Disse verso di lui Gesù: “Non glie lo impedite, chi infatti non è contro di voi è con voi”.

  1. Il messaggio

46Entró un pensiero tra loro su chi fosse il più grande di loro. Questo brano comincia in una maniera un po’ desueta, la frase «entrò un pensiero tra loro» indica un dialoghismòs. Un termine che può essere tradotto oltre che con «discorso» anche – o forse prima – con «pensiero». È affascinante l’idea che entri all’interno del gruppo non un discorso ma un pensiero. Questo pensiero non sembra buono, la Parola di Gesù non trova posto in queste persone, non viene compresa. La dimensione della Parola non accolta diventa terreno fertile per altri pensieri. Se nel nostro cuore non sono presenti le parole di Gesù, sicuramente siamo riempiti di altri pensieri, perché il nostro cuore ha bisogno di essere riempito in qualche modo[1].

I pensieri inoltre connotano non solo le dinamiche individuali, ma anche quelle di gruppo, l’evolversi delle relazioni. Se ad esempio in un gruppo è presente il pensiero su chi sia il più grande, si instaurerà una dinamica dove ognuno cerca di dimostrare all’altro che è più bravo, il nostro fratello diventerà il nostro avversario fino a risultare un nemico perché l’obiettivo è vincere; il pensiero connota e trasforma il gruppo, gli dà un’identità. Viviamo in una società profondamente materialista che ci rende ciechi rispetto alla dimensione interiore, ma proprio questa dimensione connota l’identità delle persone e dei gruppi. Quando un gruppo mette al centro la Parola di Dio, non significa che diventa perfetto, tuttavia si sforza di camminare nella direzione che Gesù indica e quindi combatte, in termini di pensieri e atteggiamenti, tutte quelle cose che portano alla conflittualità. Si tratta di un pensiero divisivo, perché “il più grande” è un pensiero che divide tra loro le persone. Discende di qui l’importanza del discernimento degli spiriti dei pensieri cattivi da quelli buoni, pensieri che portano gioia o tristezza, che portano a giudicare o aiutare il fratello, pensieri che non provenendo da Dio ci portano a competere col fratello allontanandoci da lui. I pensieri che non provengono da Dio non vanno accolti perché fanno male, intossicano noi e gli altri.

47Ma Gesù, conosciuto il pensiero del loro cuore, preso un bambino lo pose vicino a sè 48e disse loro: “Chi accogliesse questo bambino nel mio nome accoglie me, e chi accogliesse me accoglie colui che mi ha mandato. Chi infatti diventa il più piccolo tra tutti voi costui è grande”. L’intervento di Gesù non è teorico ma concreto, ci sta insegnando in che modo si deve combattere e contrastare questa dimensione naturale della tentazione nella chiesa e nei gruppi. Gesù conosce il pensiero del loro cuore, non li rimprovera, non dice ma fa qualcosa. Prende un bambino e lo mette in mezzo, accoglie e rivela che chi accogliesse  (è un’eventualità) quel bambino nel Suo nome accoglie Lui, chi accoglie Lui accoglie Colui che lo ha mandato.

Possiamo chiederci: che relazione c’è tra Gesù e Colui che l’ha mandato e Gesù e il bambino? Quasi sembrerebbe che il bambino venga mandato da Gesù, che sia la persona più vicina a Lui. Gesù entra nel mondo come persona umile, piccola. Qui il termine “piccolo” non ha nulla di particolarmente spirituale, significa il più piccolo d’età di tutti, il più piccolo della società, colui che non è importante né sapiente. Nel mondo antico le persone più rispettabili sono gli anziani che hanno saggezza ed esperienza di vita, il bambino non è considerato perché è semplice ed è spogliato di tutte queste caratteristiche, è l’ultimo anello della catena della società. Accogliere un bambino nel nome di Gesù significa accogliere disinteressatamente una persona che non può restituire niente, gratuitamente. Accogliere i bambini significa accogliere Gesù, però accoglierli implica diventare piccoli, mettersi allo stesso livello del bambino. È proprio quello che ha fatto Gesù:  per venire in mezzo agli uomini ha dovuto farsi piccolo, come recita la Lettera ai Filippesi 2, 6-8: «pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce». 

Se dunque in noi si affaccia il pensiero di grandezza, come lo combattiamo? Bisogna riconoscere che è sbagliato, non va seguito, ma questo basta a costruire la comunità? Le relazioni comunitarie non si costruiscono semplicemente riconoscendo che una cosa non si fa, ma soprattutto facendo le cose positive. Come si costruiscono le cose positive? Ci si fa come i bambini. Se si affaccia un pensiero cattivo e c’è la tentazione di essere grande Gesù esorta a farsi piccoli, non solo pensare di essere piccoli ma agire diventando piccoli. Questo esprime il combattimento contro la tentazione che non è soltanto passivo (difendersi) ma è anche attivo (fare). Allo stesso modo, per combattere un vizio non soltanto non dobbiamo compiere azioni viziose, ma dobbiamo anche esercitare la virtù opposta. Come dunque ci si fa piccoli? Accogliendo i piccoli nel Suo nome, perché ce lo dice Gesù.

49Rispondendo Giovanni disse: “Capo, abbiamo visto uno che scacciava demoni nel tuo nome e glie lo abbiamo impedito poiché non [ti] segue con noi”. 50Disse verso di lui Gesù: “Non glie lo impedite, chi infatti non è contro di voi è con voi”.Giovanni ribadisce l’autorità dei discepoli, reputa importante che questa persona li debba riconoscere. Gesù risponde in una maniera molto particolare: «non glielo impedite», perché l’autorità (exousìa) e la forza di scacciare i demoni gliel’ha data Gesù, altrimenti non potrebbe.  Gesù sta dicendo che queste persone stanno aiutando i discepoli, che non devono pensare alla loro autoreferenzialità. Non è importante che riconoscano loro ma è importante che svolgano ciò per il quale i discepoli sono stati chiamati. All’inizio del cap. 9 apprendiamo qual è la missione dei discepoli: predicare il Vangelo e cacciare i demoni. Questa persona caccia i demoni nel nome di Gesù, sta facendo qualcosa che va nella direzione della missione dei discepoli e Gesù fa notare loro che entrambi sono dalla stessa parte. L’autoreferenzialità è caratterizzata da pensieri che non sono più diretti alla missione che Dio ci ha dato ma riguardano la nostra persona. Ci si sente più importanti di chi non è discepolo. Focalizzando l’attenzione su di noi scompare la missione. Il pensiero diventa autoreferenziale, non ha più la direzione di marcia che Gesù gli ha dato ma il nostro io diventa l’obiettivo del pensiero. Capita addirittura che la missione che Gesù ha dato perché i discepoli annunciassero il Vangelo e scacciassero i demoni diventi una missione nella quale potersi specchiare pensando a si è bravi per il dono dato da Gesù. La tentazione dei discepoli è di fermarsi o addirittura diventare un ostacolo per la missione, non riconoscendo che quello che sta facendo quella persona (cioè scacciare un demonio) è una cosa che Gesù ha chiesto di fare perché cresca la Sua presenza nel mondo.

  • Le risonanze personali

vv. 46-50 In questo brano si accentua lo scollamento tra Gesù e i suoi discepoli riscontrato già nel brano precedente. In particolare, nei versetti che chiudono il passo della scorsa settimana avevamo trovato un sentimento di paura che rende la Parola di Gesù velata per i suoi . Da questo sentimento scaturisce il pensiero tra loro di chi fosse il più grande e mi sono chiesta se quando siamo nella paura ci allontaniamo dai desideri del Signore e non riusciamo a dare credito alla sua Parola in modo tale che diventi la paura a guidarci . Credo che sia faticoso vedere quelli che sono i sentimenti del nostro cuore in quanto spesso riconosco un combattimento tra il desiderio di pensieri rivolti al Signore e le preoccupazioni e difficoltà della vita quotidiana. Spero di riuscire, riconoscendo questa fatica,  ad impegnarmi maggiormente per fare in modo di dare credito alla sua Parola.

Vedo nel modo di agire del Signore per rivelare ai suoi cosa hanno nel cuore  un insegnamento, egli spiega, infatti, come diventare grandi secondo la logica di Dio . Per essere davvero grandi e accogliere Lui è necessario convertire il cuore all’accoglienza delle cose piccole . A questa richiesta di Gesù Giovanni risponde spostando il discorso sul tema dell’ unicità nell’essere discepoli. In questa risposta di Giovanni ritrovo il sentimento di paura che continua ad allontanarli, infatti credono di avere l’autorità di impedire di scacciare i demoni anche se tale azione viene fatta nel nome di Gesù .

Per gli apostoli l’unica condizione per scacciare demoni è essere suoi discepoli, mentre per Gesù si possono compiere gesti nel suo nome anche senza essere suoi discepoli.

Mi ha colpito l’espressione “nel mio nome” usata da Gesù per parlare dell’accoglienza del bambino e successivamente da Giovanni  . Mi sembra che Gesù voglia sottolineare che non  è sufficiente parlare come lui , ma che una sequela autentica è data dall’agire come Lui, un agire che deve essere sempre pronto all’accoglienza.

vv. 46-50 Il ragionamento dei discepoli è connotato come dialoghismòs, termine che nella tradizione monastica indica la tentazione. L’idea che si tratti di una tentazione mi viene anche dal fatto che è un pensiero che “entra” nei discepoli. E’ come se la loro incomprensione di ciò che sta dicendo Gesù – dovuta ad una mancanza di fede – li renda vulnerabili alla tentazione. Infatti il pensiero che entra in loro è proprio agli antipodi di tutto ciò che sta dicendo Gesù: e cioè che sia il più grande. A questo pensiero Gesù risponde con un gesto (come fa spesso, per esempio in occasione della moltiplicazione dei pani e dei pesci) e con un verbo. Il verbo accogliere ci fa capire che a noi è chiesto di accogliere la piccolezza (mi viene in mente il mistero dell’Incarnazione), accogliere dunque anche ciò che non ci fa grandi, la nostra piccolezza, la nostra miseria. A questo verbo ne segue un altro che mi ha molto colpita, al v. 48: «colui che si fa piccolo, costui è grande»: la differenza è tra “farsi” ed “essere”. Gesù chiede uno sforzo da attuare su noi stessi, un lottare contro le tendenze che ci spingono a voler prevalere, stare sopra l’altro, avere ragione, essere più visibili.  

  • Alcune domande per riflettere
  • Di quali pensieri è pieno il nostro cuore?
  • Hai l’abitudine e la capacità di interrogare i tuoi pensieri? Riesci a riconoscere come tentazione il pensiero che scredita il fratello e Dio?
  • Hai mai pensato che alcuni pensieri possono modificare il clima delle relazioni di un gruppo? Cosa si può fare per invertire la tendenza?
  • Che significa per te accogliere un bambino nel nome di Gesù? Ti senti influenzato da qualsiasi forma di importanza/valore/vicinanza di chi accogli?
  • Hai mai avuto la tentazione di vivere la vicinanza a Gesù (o un incarico nella Chiesa) come una forma di superiorità nei confronti dei fratelli? Provi gelosia nei confronti di Gesù o del tuo riconoscimento rispetto a Lui?
  • Chi hai l’abitudine di considerare con te e chi contro di te?

[1] La prima domanda che dobbiamo porci è dunque la seguente: di quali pensieri è pieno il nostro cuore? Lo sguardo sui pensieri è uno degli esercizi tipici della spiritualità ignaziana. S. Ignazio di Loyola propone i cosiddetti esercizi spirituali che sono proprio un lavoro molto forte di riconoscimento della realtà di noi stessi. Chi fa gli esercizi spirituali si stanca, perché deve conoscere i propri pensieri e sapere che laddove non siamo riempiti di Gesù, siamo riempiti di altro. Provando a metterci davanti a noi stessi analizzando i pensieri ricorrenti, quale pensiero ritorna? Sono pensieri buoni, o cattivi? Questi pensieri cambiano facendo la lectio? In che modo cambiano?