43) Lc 9,18-27 – 03/02/2021

  1. Il testo

18E avvenne nell’essere egli a pregare da solo, [che] erano con lui i discepoli, e domandò loro dicendo: «Chi dicono le folle che io sia?». 19Quelli rispondendo dissero: «Giovanni il Battista, altri Elia, altri un profeta degli antichi [che è] risorto». 20Disse loro: «Voi chi dite che io sia». Pietro rispondendo disse: «Il Cristo di Dio». 21Egli, però, ammonitili, comandò loro di non dire a nessuno questo, 22dicendo: «è necessario che il figlio dell’uomo soffra molto e sia rigettato dagli anziani e dai sommi sacerdoti e dagli scribi e sia ucciso e il terzo giorno sia risuscitato». 23Diceva verso tutti: «Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso e prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. 24Chi infatti volesse salvare la sua vita la perderà, chi invece perdesse la sua vita per me la salverà. 25Che cosa infatti giova all’uomo aver guadagnato il mondo intero se poi perde o rovina se stesso? 26Chi infatti si vergognerà di me e delle mie parole, di lui si vergognerà il figlio dell’uomo, quando sarà venuto nella gloria sua e del padre e degli angeli santi. 27Vi dico in verità, vi sono alcuni dei presenti qui che non gusteranno la morte fino a che non avranno visto il Regno di Dio».

  • Il messaggio

18E avvenne nell’essere egli a pregare da solo, [che] erano con lui i discepoli, e domandò loro dicendo: «Chi dicono le folle che io sia?». Gesù sta pregando da solo e con lui ci sono gli apostoli. Questa concomitanza indica una dimensione di intimità che non è mai stata così descritta. Gli apostoli sono soli con Gesù in un clima di preghiera che è il clima unico che permette di condividere le cose importanti. Gesù ci insegna la qualità delle relazioni, in quanto lui ha comunicato ai suoi le cose più importanti in un clima di particolare comunione e la preghiera è uno di questi momenti.

Le domande che pone Gesù fanno emergere una differenza: «Chi dicono le folle che io sia?»; «Voi chi dite che io sia» hanno entrambe come centro la persona di Gesù. La prima domanda è stata fatta anche da Erode il quale è in cerca di Gesù e vuole conoscerlo dall’esterno e per questo non può arrivare alla conoscenza di Gesù, perché ognuno dice una cosa diversa di Lui. Infatti la prima risposta è simile a quella che riceve Erode:

19Quelli rispondendo dissero: «Giovanni il Battista, altri Elia, altri un profeta degli antichi [che è] risorto». I tre  personaggi nella risposta sono nella categoria del profeta. Per cui, per coloro che stanno fuori, Gesù e un profeta. Possiamo chiederciperché su Gesù c’è una così grande varietà di comprensione allora come oggi, dunque possiamo chiederci anche quante confessioni cristiane esistono e quanti modi di vedere Gesù abbiamo anche oggi.

Al di là della comprensione personale, le parole di Gesù mettono in luce un rapporto forte tra verità e sofferenza. Noi arriviamo alla verità quanto più siamo disponibili ad accogliere la sofferenza (come è detto nel Qoèlet: 1, 17-18: 17.Ho deciso allora di conoscere la sapienza e la scienza, come anche la stoltezza e la follia, e ho capito che anche questo è un correre dietro al vento. 18, Infatti: molta sapienza molto affanno: chi accresce il sapere aumenta il dolore). C’è un rapporto stretto tra la sofferenza, che comporta la ricerca della verità, e l’accettazione della verità. Molto spesso noi non vediamo la verità perché non ci piace. Nel Vangelo di Giovanni (16, 12-13) Gesù dice: Ancora molte cose ho da dirvi, ma non potete (sop) portarle ora. Quando sarà venuto quegli, lo spirito della verità, vi condurrà nella verità intera. Ciò significa che la comprensione di Gesù avviene a partire dall’accettazione della fatica.

20Disse loro: «Voi chi dite che io sia». Pietro rispondendo disse: «Il Cristo di Dio»: è proprio dopo la risposta di Pietro che Gesù si affretta a dire: 22 «è necessario che il figlio dell’uomo soffra molto e sia rigettato dagli anziani e dai sommi sacerdoti e dagli scribi e sia ucciso e il terzo giorno sia risuscitato». A fianco all’identità di un Messia (che è colui che il popolo di Israele aspetta dall’inizio della storia della sua relazione con Dio, da Mosè o forse ancora prima, da Genesi 3), una figura regale, centrale e importantissima, Gesù pone un uomo che soffre. Emerge qui chiaramente uno strettissimo rapporto tra conoscenza e sofferenza: quanto più si entra in profondità, tanto più Gesù sottolinea questa dimensione dicendo che come lui stesso come Messia (cosi come riconosciuto da Pietro) deve necessariamente assumere su di sé la sofferenza, così la devono assumere anche coloro che sono suoi discepoli o vogliono esserlo.

La domanda che dobbiamo porci è: può essere che noi non conosciamo abbastanza Gesù perché non siamo disposti abbastanza a guardare la verità fino in fondo? Con tutte le fatiche che questa comporta? Anche psicologicamente la negazione è tra i più elementari meccanismi di difesa per proteggerci dalla realtà.

23Diceva verso tutti: «Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso e prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Entriamo qui sempre più chiaramente nel mistero della sofferenza di Cristo. La variante della versione lucana «ogni giorno» sottolinea che la croce non va associata solo alla morte violenta, non è solo una questione di vivere o morire fisicamente come martiri. La croce è la dimensione della rinuncia a qualcosa per rinnovare una dimensione di vita, e questo avviene quotidianamente. Assistiamo ad una duplicità tra morte e vita, che ci ricorda quanto se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo, se muore produce molto frutto.

24Chi infatti volesse salvare la sua vita la perderà, chi invece perdesse la sua vita per me la salverà. Gesù rinnova la necessità della sofferenza e intende proprio quella legge della natura che ha a che fare con la vita e con la morte ma anche con la disponibilità a perdere la vita per qualcosa. Si contrappongono due atteggiamenti, il primo è salvarsi, ed è riferito a tutte le volte che vogliamo conservare per noi, allora perdiamo; il secondo atteggiamento è lo spendersi, tutte le volte che noi ci spendiamo per Gesù ritroviamo la mia vita; è un atteggiamento di rinuncia a ciò che può impedire una piena donazione. La questione è tra il donarsi o il trattenere, il prendere per sé o il dare. La vita non è da intendersi solo in senso fisico, ma riguarda l’anima, la vita nostra interiore, è il modo con il quale viviamo le relazioni. Gesù ci sta parlando del nostro modo di vivere la vita ogni giorno con questo atteggiamento.

Gesù ha vissuto questa situazione in prima persona nella sua vita, non solo nella croce ma anche in tutte le sue relazioni: con Dio, con il quale non si è trattenuto, non ha voluto tenere per sé (è l’obbedienza: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà»); con gli altri, perchè Gesù non ha mai avuto un desiderio di possesso (è la castità, ossia desiderare di non possedere non solo fisicamente ma anche nelle relazioni con le persone, la sua scelta di libertà è funzionale ad una grande profondità di relazione); con il Creato (è la povertà che è un’altra forma di libertà, nessuno infatti ha avuto una relazione così profonda con il creato se non Gesù, che da un certo punto di vista è il Creatore stesso). E’ importante sapere leggere questa dimensione: Dio, il prossimo e i beni sono i tre elementi con cui ci si relaziona.

26Chi infatti si vergognerà di me e delle mie parole, di lui si vergognerà il figlio dell’uomo, quando sarà venuto nella gloria sua e del padre e degli angeli santi. Gesù chiarisce che questa è una legge di natura, diventa centrale come ci si comporta nei confronti delle sue parole, chi le riconosce e chi non le riconosce davanti agli uomini.

Povertà, Castità e Obbedienza non afferiscono solo ai consigli evangelici della vita religiosa ma sono espressione anche di un modo di vivere di ciascuno che segue Gesù. Essi sono vissuti in maniera radicale dai religiosi, ma tutti i discepoli sono chiamati a viverli nei rispettivi stati di vita – pensiamo al discorso delle beatitudini – perchè afferiscono alle relazioni. A meno che non si scelga di relazionarsi con Dio, uomini e beni senza avere come punto di partenza il Vangelo.

La croce è lo sforzo quotidiano di vivere la relazione con Dio, il prossimo e i beni secondo il modello di Gesù, ed è croce perchè va contro i nostri principi umani che hanno invece a che fare con il possesso. Questa è la grande fatica che è una fatica del volere secondo la volontà di Dio. La cosa più profonda da fare, non è sopportare la croce, ma volere la croce. C’è bisogno di rinnegare ogni giorno questa volontà di voler possedere, in tutte le nostre relazioni. Gesù desidera che noi cambiamo nella vita quotidiana e questa deve essere una scelta libera. Vergognarsi delle parole di Gesù, significa nascondere qualcosa perché non piace al mondo, ci si vergogna di Gesù quando si segue il mondo. Richiamando il concetto di Adamo ed Eva che si vergognano e si nascondono davanti a Dio per il frutto del peccato, qui c’è un capovolgimento: invece di vergognarci del peccato ci vergogno della Parola di Gesù, che è la Verità. La conversione è questo: non dobbiamo vergognarci di Gesù ma dobbiamo andarne fieri, dobbiamo invece vergognarci di quello che non è secondo Gesù.

L’ultima parte del ha a che fare con l’esperienza di una bellezza: 27Vi dico in verità, vi sono alcuni dei presenti qui che non gusteranno la morte fino a che non avranno visto il Regno di Dio» Si parla della Resurrezione, non solo di quella di Gesù, come evento al quale noi partecipiamo; se non c’è Fede noi non possiamo riconoscere il Cristo risorto. Il versetto intende dire che non si tratta di qualcosa a cui si crederà solo per Fede, ma che si farà esperienza del fatto che quello che Gesù dice è qualcosa che ha a che fare con il vivere la vita in maniera diversa.

In conclusione, il brano non parla semplicemente della vita e della morte, intese fisicamente, ma di come si vive la nostra vita, se da vivi o da morti, di come si vivono le nostre relazioni con Dio, con gli altri e con i beni: da vivi, spendendosi per Gesù; da morti, accumulando per sé ma in definitiva perdendosi, impoverendosi progressivamente.

  •  Alcune domande per riflettere
  • Qual è la condizione migliore che io vivo per ascoltare le domande di Gesù? Cosa mi domanda?
  • Chi è per me Gesù? In che modo le mie azioni dimostrano questa convinzione?
  • Come mi pongo di fronte alla diversità di comprensione della persona di Gesù delle persone attorno a me?
  • Quanto sono disposto ad accogliere la sofferenza per conoscere la Verità?
  • Quanto sono attratto dalla «vita» così come la intende Gesù e quanto mi attrae della vita ciò che è del mondo? Mi vergogno di pensare/agire come Gesù?