29) Lc 6, 37-49 – 24/06/2020
1. Il testo
37E non giudicate e neppure sarete giudicati. E non condannate, e neppure sarete condannati. Perdonate e sarete perdonati. 38 Date e sarà dato a voi: una bella misura premuta, scossa e traboccante daranno nel vostro grembo. Con la misura infatti con la quale misurate, sarà misurato a voi». 39Disse anche una parabola a loro: «Come può un cieco guidare un cieco? Non cadranno entrambi in una fossa? 40Un discepolo non è sopra il maestro: ognuno [che è] preparato sarà come il suo maestro. 41 Perché guardi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, [mentre] non ti accorgi della trave che è nel tuo? 42Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che ti tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, non vedendo tu stesso la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita, togli la trave che è nel tuo occhio, e allora vedrai bene per togliere la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello. 43Non c’è infatti un albero bello che faccia un frutto guasto, né un albero guasto che faccia un frutto bello. 44Ciascun albero infatti dal proprio frutto si riconosce. Non infatti dalle spine si raccolgono fichi, né dal rovo si vendemmia uva. 45L’uomo buono dal tesoro buono del cuore porta fuori il bene, e il cattivo dal [tesoro] cattivo porta fuori il male. Dall’abbondanza del cuore infatti parla la bocca. 46Perché mi chiamate Signore e non fate ciò che vi dico? 47Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le fa, vi mostrerò a chi è simile. 48 Simile è a un uomo che costruisce una casa, il quale ha scavato ed è sceso in profondità e ha posto il fondamento sulla pietra. Venuta la piena il fiume irruppe su quella casa e non ebbe la forza per smuoverla per il suo essere ben costruita. 49Invece chi ha ascoltato e non ha fatto è simile a un uomo che costruisce una casa sulla terra senza fondamento, sulla quale il fiume irruppe, e subito [essa] cadde e avvenne la grande rovina di quella casa».
2. Il messaggio
Il brano è composto da due parti: i vv. 37-38 si sposano con il brano precedente; nei vv. 39-49 invece viene espressa una parabola.
I vv. 37-38 esprimono il concetto che con la misura con cui si giudica, si sarà ugualmente giudicati: 37E non giudicate e neppure sarete giudicati. E non condannate, e neppure sarete condannati. Perdonate e sarete perdonati. 38 Date e sarà dato a voi: una bella misura premuta, scossa e traboccante daranno nel vostro grembo. Con la misura infatti con la quale misurate, sarà misurato a voi». Queste parole coronano il concetto dell’amore per i nemici, che ha come radice la beatitudine della povertà e quindi l’accesso al Regno. L’accesso al Regno si coniuga con la misericordia ed è invece incompatibile con il giudizio e la condanna.Quindi, quando si giudica e condanna, ciò è segno dell’assenza della dimensione della grazia, della compassione e della comunione con Dio. Quando questa Grazia non c’è, vi è una restrizione della compassione nei confronti di chi giudica: «Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi». Noi abbiamo la possibilità di restringere la compassione che Dio ha verso di noi non esercitando la misericordia dei confronti degli altri, secondo quello che è detto nel Padre Nostro: «Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori».
La seconda parte del brano (vv. 39-49) è invece un’unica grande parabola che conclude il discorso che l’evangelista sta facendo. Il tema di questa parabola è il rapporto con il Maestro. La parabola incomincia dicendo: 39Disse anche una parabola a loro: «Come può un cieco guidare un cieco? Non cadranno entrambi in una fossa? 40Un discepolo non è sopra il maestro: ognuno [che è] preparato sarà come il suo maestro. Gesù si sta rivolgendo a coloro che potrebbero avere la pretesa di guidare altre persone. Egli ci sta dicendo che finché si ha la pretesa di essere maestri non si può seguire Gesù. Nessuno può essere guida dell’altro e chi ha questa pretesa si ritiene al di sopra del Maestro.Infatti, i ciechi di cui parla il brano sono i discepoli e il rapporto tra i discepoli dipende da quanto essi si sentono al di sopra del Maestro. Essere superiore al Maestro significa non poter fare il Maestro, poiché egli è colui che cammina avanti. Vi è un’assonanza con Mc 8, 33, in cui Gesù chiede a Pietro di indietreggiare e tronare dietro di Lui, anche proprio nella dimensione spaziale. Quindi, non superare il maestro significa restare al proprio posto.
Inoltre Gesù coniuga questo discorso al rapporto dei discepoli tra loro e dice: 41 Perché guardi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, [mentre] non ti accorgi della trave che è nel tuo? 42Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che ti tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, non vedendo tu stesso la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita, togli la trave che è nel tuo occhio, e allora vedrai bene per togliere la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello. Questa parabola indica che occorre togliere la pretesa di vederci bene, e quindi la pretesa di giudicare. Non abbiamo possibilità di giudicare se prima non togliamo la trave da dentro ai nostri occhi. La dimensione del giudizio si lega alla dimensione dell’essere discepoli perché chi ha premura di dire al fratello che sta sbagliando evidentemente ha la pretesa di avere un atteggiamento che è molto simile a quello del maestro.
Gesù continua: 43Non c’è infatti un albero bello che faccia un frutto guasto, né un albero guasto che faccia un frutto bello. 44Ciascun albero infatti dal proprio frutto si riconosce. Non infatti dalle spine si raccolgono fichi, né dal rovo si vendemmia uva. La parola «infatti» indica che Gesù sta spiegando meglio qualcosa, in questo caso con una parabola nella parabola, per dire la stessa cosa. Con l’espressione «non c’è un albero bello che faccia un frutto guasto né un altro guasto che faccia un frutto bello» possiamo intendere che siamo tutti guasti in quanto noi nasciamo tutti quanti guasti, all’inizio della sua sequela di Gesù nessuno è come il Maestro.La storia della Chiesa insegna che questa parte di parabola è stata interpretata da un eretico di nome Marcione in maniera sbagliata: secondo l’eresiarca, «albero bello» e «albero guasto» andrebbero interpretati come un dato di natura di partenza per cui ci sarebbero i buoni per natura e i guasti per natura. Evidentemente non può essere così, e questo pensiero non potrebbe rendere ragione di ciò che Gesù sta dicendo. L’apostolo Paolo comprenderebbe questa affermazione ricordando che siamo tutti nati con il peccato originale e quindi siamo tutti quanti da considerarci come alberi guasti.
Una lettura più attenta ai termini usati ci fa notare che il termine guasto si differenzia dal significato di “cativo”. Esprime piuttosto che siamo come frutti marci, tarati, che hanno qualcosa di non perfetto. Il riferimento è al cuore: il nostro cuore prima di essere purificato, per portare frutti buoni, deve imparare prima a essere discepolo. Emergono dunque due elementi: il primo è che un discepolo, non potendo capire bene, viene chiamato ipocrita in quanto non può erigersi a maestro; il secondo elemento è che anche le sue azioni sono marce poiché si è come frutti guasti.
Nella seconda parte della parabola viene detto: 46Perché mi chiamate Signore e non fate ciò che vi dico? 47Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le fa, vi mostrerò a chi è simile. Gesù ci vuole dire che c’è chi in teoria riconosce il Signore come tale ma che poi non Lo riconosce in maniera del tutto completa, perché non mette in pratica.Se ad esempio andiamo dal dottore e ci fidiamo, facciamo quello che ci dice, se invece non lo facciamo significa che non ci fidiamo e continuiamo a pensare di essere maestri, cioè di poter continuare a fare a modo nostro.Con la frase «fate ciò che vi dico», si nota che continua a essere centrale nel brano il rapporto con Gesù Maestro. Egli fa leva su tre elementi: Venire a Lui, Ascoltare, e Fare le sue parole, osservandole e mettendole in pratica.E’ interessante la relazione tra il fare le parole con i frutti di cui si è parlato prima: se si è discepoli il frutto è buono, altrimenti è guasto. Le parabole di Gesù sono quindi collegate tra loro.
Alla fine del brano Gesù spiega a chi è simile chi lo ascolta e compie le suoi frutti: 48 Simile è a un uomo che costruisce una casa, il quale ha scavato ed è sceso in profondità e ha posto il fondamento sulla pietra. Venuta la piena il fiume irruppe su quella casa e non ebbe la forza per smuoverla per il suo essere ben costruita. 49Invece chi ha ascoltato e non ha fatto è simile a un uomo che costruisce una casa sulla terra senza fondamento, sulla quale il fiume irruppe, e subito [essa] cadde e avvenne la grande rovina di quella casa». In fondo, qui sta tutto il nostro rapporto con Gesù: esso ha a che fare con il cuore, con la profondità dell’essere umano. Una volta che le parole hanno raggiunto il nostro cuore, anche il nostro sguardo è modificato, ed è uno sguardo trasparente e le nostre azioni sono conformi a queste.Per riuscire a fare questo, Gesù ci dice che c’è bisogno di scendere in profondità e porre il fondamento sulla pietra.Scavare significa raggiungere ciò che è solido. Questo significa che quando il Vangelo ci interroga, le nostre prime reazioni sono reazioni di ribellione, di scetticismo. Ma queste reazioni sono superficiali perché in realtà siamo chiamati ad approfondire la nostra fede. Quindi, non dobbiamo spaventarci se sorgono delle difficoltà e delle incomprensioni del Vangelo, ciò è dovuto al fatto che il nostro cuore è guasto a causa del peccato. Anche se le parole di Dio urtano contro qualcosa nella nostra interiorità, dobbiamo scendere in profondità ed essere convinti che la Parola di Cristo è la pietra, cioè il punto fondamentale. Così avremo la certezza che la Parola di Cristo è il fondamento e quindi il punto solido sul quale fondare la nostra propria vita. Questo è importante perché quando le nostre perplessità irrompono sulla casa, se la nostra vita è fondata sulla Parola di Cristo, allora non andrà distrutta. La Parola di Dio ha la capacità di renderci saldi, e quindi evitare che «il fiume in piena» distrugga la nostra vita. Quando le perplessità della vita ci scuotono e mettono in discussione l’autorità della Parola di Cristo, allora ci stiamo erigendo a maestri perché pensiamo di poter fare da noi stessi, relativizzando l’autorità della sua Parola.
In conclusione, tutto il brano è interpretabile nella direzione di un rapporto con Gesù. Possiamo metterlo in relazione con un bellissimo brano di San Paolo nella prima lettera ai Corinzi (capitolo 3, vv. 12-14): E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l’opera di ciascuno sarà ben visibile: infatti quel giorno la farà conoscere, perché con il fuoco si manifesterà, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno. Se l’opera, che uno costruì sul fondamento, resisterà, costui ne riceverà una ricompensa. San Paolo ci dice che ogni nostra azione sarà verificata nel suo valore alla fine; se essa sarà basata su Cristo si manterrà, ma se si basa su cose secondarie, queste azioni non avranno un autentico valore. Se nella nostra vita vogliamo fare qualcosa di significativo, rendere la vita efficace, utile, dobbiamo fondare la nostra vita sulle fondamenta della Parola di Gesù, e di conseguenza anche le nostre azioni sulla roccia che è Cristo.
Ecco dunque la spiegazione di questo brano: si sottolinea la centralità della verifica con la Parola di Gesù. La verifica avviene nella misura in cui accogliamo la Parola di Gesù e ci convinciamo che questa è la roccia su cui fondare le fondamenta della nostra vita. Senza questo, la nostra capacità di giudizio e il valore effettivo delle nostre azioni saranno azzerate e distrutte alla fine.
3.Le risonanze personali
vv. 37-49 In questo brano Gesù prosegue il suo discorso aggiungendo particolari rispetto al proprio modo di agire che è in stretta relazione con la “misura” con la quale saremo valutati nel Regno . Per spiegare meglio qual è il modo di amore da vivere Gesù utilizza una parabola .
Di questa parabola mi ha sempre colpito che rispetto al fratello si parli di pagliuzza mentre rispetto a se stessi si parli di trave e questo mi ha fatto riflettere sul nostro diverso modo di vedere rispetto al modo di Dio. Credo che spesso utilizziamo per gli altri un metro di giudizio diverso da quello utilizzato per noi stessi e che più che capire ed amare l’altro riversiamo quelle che sono le nostre difficoltà . Le travi personali che non siamo disposti a togliere si frappongono così nel rapporto con Dio e con gli altri .
La parola «ipocrita» è un monito che invita a togliere la trave del nostro occhio per vedere bene la pagliuzza nell’occhio del fratello. Un vedersi dentro, scoprire le proprie difficoltà per vedere bene nel rapporto con gli altri. Senza questa operazione introspettiva di conoscenza di sé non è possibile aprirsi all’altro come fratello e non è possibile intraprendere nessun percorso di vita comunitaria/familiare/di relazione.
Per portare frutti buoni bisogna non solo seguire Gesù, ma ascoltare ed agire partendo da uno “scendere in profondità” personale per costruire solide fondamenta nella vita di relazione .
Questo mi ha fatto pensare al percorso di vita comunitaria e a quanto più volte detto circa l’impegno personale che ha una ricaduta evidente ed è la condizione necessaria per creare relazioni di prossimità. Sul “fare”, il passaggio della fondamenta della casa è illuminante in quanto evidenzia che ad una stessa prova da affrontare il risultato cambia alla luce di quello che è stata la capacità di andare in profondità personale. Come detto altre e numerose volte la prova dimostra la nostra fede, dove abbiamo riposto le nostra fondamenta.